La versione di Foodora dopo la protesta dei fattorini

La versione di Matteo Lentini e Gianluca Cocco, i due country manager di Foodora Italia, dopo la protesta dei fattorini sulle cifre pagate dalla startup specializzata in consegna a domicilio del cibo proveniente dai ristoranti

La versione di Foodora dopo la protesta dei fattorini

Non euro, ma centesimi. Centesimi di euro. Questo il margine che i manager di Foodora hanno dichiarato di ricavare,  al Corriere della Sera,  dalle consegne di cibo a domicilio, effettuate  al massimo entro 35/40 minuti dall’ordinazione nell’ambito del servizio di delivery food cittadino attivo in Italia a Torino e Milano.

Servizio che tanti problemi ha sollevato negli ultimi giorni a causa delle rivendicazioni dei fattorini, o “rider”, che arrivano in bici a casa nostra per portarci calde pizze,  invitanti tagliatelle o croccanti ali di polli allo spiedo, provenienti dalle cucine dei ristoranti metropolitani che  vi aderiscono.

Nei giorni scorsi, infatti, i rider torinesi avevano protestato a Torino, come riportato da Dissapore, contro il cambiamento di sistema di retribuzione deciso dai vertici di Foodora, passato da un compenso orario di 5,60 euro lordi all’ora ai 4 euro lordi a consegna.

Vale a dire 3,60 euro netti guadagnati dal fattorino per ogni pasto recapitato.

“Una scelta che consente di tenere in piedi il nostro business”, affermano gli amministratori di Foodora Italia Matteo Lentini, ventottenne bocconiano con esperienza in una start-up in Russia simile a Foodora, e Gianluca Cocco, ingegnere con già alle spalle un’esperienza triennale in Amazon.

“Il nostro modello di business si basa su centesimi di euro. Ogni consegna ci costa almeno 5 euro. Di questi, 2.90 euro li paga il cliente, il resto lo mettiamo noi”, dicono i due manager.

“Al fattorino vengono riconosciuti 4 euro lordi a consegna, cioè 3,60 euro netti, e i contributi Inps sono a nostro carico, così come l’assicurazione Inail contro gli eventuali infortuni nonché la copertura assicurativa in caso di danni a terzi”.

Ma il nuovo sistema di pagamento basato sulle consegne effettuate, e non più su base oraria, non è piaciuto ai rider che da più tempo collaborano con Foodora. Purtroppo, però, a detta dei due manager, questo è l’unico sistema applicabile ad un business che lavora con margini di guadagno così risicati.

Foodora si avvale della collaborazione di 700 fattorini, di cui 450 a Milano e 250 a Torino, tutti inquadrati da contratti di co. co. co. (collaborazioni coordinate continuative); ognuno di loro, essendo pagato a consegna, vale a dire a cottimo, può decidere autonomamente quanto e come lavorare.

In base al nuovo sistema di retribuzione a cottimo, “chi lavora di più, guadagna di più”, dicono i due manager di Foodora, che assicurano che “nella fascia di punta, cioè nell’ora di cena, è possibile anche fare cinque consegne all’ora”. Vale a dire 18 euro netti l’ora.

Peccato che l’ora di punta sia limitata solo a un periodo durante la fascia serale, e che durante la giornata i ritmi siano ben  diversi.

Ma Foodora insiste sull’equità del proprio sistema di retribuzione, illustrando, oltre ai bassi margini di guadagno, anche altre spese che andrebbero ad abbattere i già risicati margini.

Tutti i ristoratori firmano un contratto basato su una commissione fissa corrisposta a Foodora soltanto in caso di ordine da parte del cliente. A volte, però , il cibo arriva in ritardo, e in quel caso Foodora risarcisce il cliente con un buono da utilizzare per una spesa futura, e copre inoltre il costo del ristorante nel caso la consegna non venga per qualche motivo effettuata.

Con questi costi, e soprattutto con questi margini, un sistema retributivo diverso, per i fattorini in bicicletta, non sarebbe sostenibile, dicono i vertici di Foodora.

A meno, ipotizziamo noi, di aumentare il costo del servizio in capo  al cliente finale.

Ma quanti di noi lo utilizzerebbero se i costi fossero incrementati?

In fondo, una parte di responsabilità, in merito alle retribuzioni dei giovani rider, è anche causa nostra.

E’ vero tuttavia che, quando un’attività non è più ritenuta conveniente dalla proprietà e non produce più i margini minimi  ipotizzati, semplicemente chiude i battenti. E in quel caso, non ci sarebbero più né rimostranze né proteste da parte di nessuno.

Semplicemente, perché non ci sarebbe più il lavoro.

[Crediti | Link e immagine: Corriere.it]