Made in Italy, la proposta di legge per i marchi italiani spiegata bene

Made in Italy, la proposta di legge per i marchi italiani spiegata bene

Alla Camera dei Deputati è stato presentato un progetto di legge che vuole tutelare i marchi italiani. L’idea della Lega è di evitare che marchi del Made in Italy possano finire in mani straniere, con tutte le conseguenze del caso. Come la chiusura degli stabilimenti in Italia per decentralizzarli in altri luoghi d’Europa e del mondo.

La bozza di legge presentata alla Camera intende tutelare i prodotti e le aziende Made in Italy. Con un registro del Ministero dello Sviluppo Economico, innanzitutto, in cui elencare i marchi storici, quelli attivi da più di 50 anni: se rilevati da aziende straniere potranno essere rivendicati dallo Stato italiano, che a sua volta potrà riassegnarlo ad altre aziende in grado di mantenere la produzione in Italia e, almeno nella volontà della proposta di legge, con la stessa qualità.

A cosa serve una legge per difendere il Made in Italy?

Conosciamo tutti le storie di storiche aziende italiane che, trovandosi magari in difficoltà economiche, hanno deciso di vendere il marchio, in molti casi all’estero, e magari multinazionali senza molti scrupoli che, pensando ovviamente solo ai loro profitti, decidono di chiudere le sedi presenti in Italia per spostare la produzione altrove. Facendo finire in mezzo a una strada tanti lavoratori che dall’oggi al domani si trovano o senza lavoro, o costretti a prendere una decisione ardua: seguire l’azienda magari all’estero e lontano, pur di mantenere il lavoro.

Celebre, nonché recente, il caso di Pernigotti. L’azienda di Novi Ligure specializzata nella produzione di cioccolatini, uova di Pasqua e gelato, è stata comprata nel 2013 dai turchi Toksoz, dopo la cessione da parte della famiglia Averna che ne aveva preso le redini nel 1995. Ebbene, il 6 novembre 2018 l’azienda turca ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Novi Ligure.

E come dimenticare il caso Parmalat, marchio italiano acquisito da Lactalis che sembra avere progetti lontani dall’Italia per il futuro dell’azienda. I sindacati sono già sul piede di guerra in seguito alla riorganizzazione, stabilita dal gruppo francese, che di fatto toglie l’autonomia finora mantenuta dal brand. Scelta che potrebbe provocare la perdita di molti posti di lavoro.

Ma sono tanti i marchi passati sotto altre direzioni: Grom nel 2015 è stato acquisito da Unilever, mentre Nestlè ha comprato il marchio Perugina, mettendo a rischio lo stabilimento di San Sisto.

Una legge a tutela del Made in Italy parrebbe rilevante: arriverebbe con un pessimo tempismo, ma almeno facendo tesoro del (recente) passato.

Cosa cambierebbe con la proposta di legge in difesa del Made in Italy?

La proposta di legge è stata presentata giovedì 14 marzo 2019 alla Camera dal capogruppo della Lega, Riccardo Molinari, insieme al vicepremier Matteo Salvini e a Barbara Saltamartini, presidente della Commissione attività produttive. La proposta parte proprio dalla vicenda di Pernigotti, per mettere un punto alla delocalizzazione degli storici marchi italiani fuori dai nostri confini.

Si definisce così il “marchio storico nazionale di alto valore territoriale”: “marchio registrato, relativo a un’impresa produttiva nazionale di eccellenza storicamente collegata a uno specifico luogo di produzione, la cui domanda di registrazione sia stata depositata da più di cinquant’anni”. Tutti i marchi con questa dicitura faranno parte di un elenco del Ministero dello Sviluppo Economico, dove sarà creato anche un Comitato di controllo che dovrà vigilare sui livelli di produzione delle aziende e sulle conseguenze delle aperture eventuali di nuovi stabilimenti in altre zone, i n Italia o no.

I diritti dei marchi depositati al Mise decadono nel momento in cui il titolare del marchio non produce più nel territorio comunale dello stabilimento principale di produzione, registrato al momento di inserimento del marchio nella lista del Ministero, per l’appunto. Si possono aprire nuovi stabilimenti, a patto che non venga ridotta la produzione in quello principale.

In questo modo, anche in caso di acquisizione del marchio da parte di aziende straniere, la produzione dovrà rimanere nel territorio italiano, altrimenti non si potrà cedere il marchio registrato, che rimarrà Made in Italy. Nel nome e nei fatti.