Selvaggia Lucarelli, il “pesce scimmia” di Trussardi e il dramma della critica gastronomica

Selvaggia Lucarelli, il “pesce scimmia” di Trussardi e il dramma della critica gastronomica

Se se n’è accorta e ha deciso di occuparsene anche Selvaggia Lucarelli, giornalista e opinionista tra le più seguite sui social network, vuol dire che il dramma della critica gastronomica esiste ed è davvero diffuso. Su Il Fatto Quotidiano di oggi, infatti, Lucarelli riprende, con il suo tipico taglio ironico, la vicenda che qualche settimana fa vide battibeccare via social network il giornalista, editore della rivista Good Life, Dominique Antognoni e l’imprenditore Tomaso Trussardi.

In un post social, infatti, il secondo aveva criticato duramente il primo (pur senza farne esplicitamente il nome) per alcune considerazioni sul ristorante Trussardi alla Scala. “È interessante osservare come certi imbecilli sedicenti critici culinari si permettano di giudicare senza alcun tipo di competenza ed eseperienza il lavoro di chi si dedica 15-18 ore al giorno alla cucina”, aveva esordito nella sua lunga invettiva il compagno di Michelle Hunziker. Il pomo della discordia era stato un post in cui il giornalista Antognoni aveva fatto notare alcune cadute di stile del ristorante (che con Andrea Berton in cucina aveva ottenuto le due stelle Michelin), da poco riproposto nel nuovo concept di “trattoria di lusso”.

Una definizione non chiarissima, accompagnata da un menu (fotografato da Antognoni) che non sembrava esattamente all’altezza di un luogo di lusso: “Un foglio word qualsiasi, la divisione dei piatti in “I pesci” e “Le carni”, errori di punteggiatura e anche di traduzione, per non dire della goffaggine di alcune situazioni, come per esempio informare la clientela italiana che la bistecca viene calcolata all’etto, mentre alla clientela straniera viene detto che si calcola al grammo”, aveva fatto notare Antognoni in un articolo su Chefmaitre. “ È uno strazio, è umiliante per la maison stessa. Per la cronaca, non avevamo mai letto in vita nostra qualcosa come “I Pesci”: meschino davvero. Poi piccola osservazione, la rana pescatrice si traduce monkfish, non monkey fish, ammesso che la nostra parola possa valere qualcosa. E poi “catalana style”, insomma, cosa sarebbe?Con lo stuolo di consulenti, manager food and beverage, ufficio stampa, pr e tutto il resto, ci pare il minimo presentare un menù scritto correttamente. Mancanza di stile e di passione, chi l’avrebbe mai detto, solo qualche mese addietro?”, si era chiesto Dominique Antognoni, causando le ire di Trussardi.

Oggi, Selvaggia Lucarelli torna sulla vicenda, notando quanto ormai sia diventato difficile fare della vera critica gastronomica in Italia. “Ci sono mestieri che nessuno vuole più fare. Il lavapiatti. La badante. Il panettiere. Il critico gastronomico. O meglio, di gastronomia vogliono scrivere tutti, ormai, ma evitando con acrobatica diplomazia qualsiasi conflitto con ristoranti, aziende alimentari, chef, ristoratori”, scrive Lucarelli in un articolo su Il Fatto Quotidiano. “Primo perché si rinuncia a un sacco di cene a scrocco. Secondo perché attorno al mondo della gastronomia ruotano molti inserzionisti e “se dici che il mio uovo puzza di cure termali il tuo prossimo inserzionista sarà Roberto Carlino”. Terzo perché il settore ha un livello di permalosità che neanche Salvini con gli striscioni, ergo basta scrivere “il radicchio era un po’ salato” che il giorno dopo l’ufficio stampa del ristorante minaccia di chiuderti nelle cucine e di farti fare, incaprettato, due giri di lavastoviglie impostata su “100 gradi”. Non per niente il più noto critico gastronomico, Valerio Massimo Visintin, gira incappucciato. Lui dice che è perché così quando va nei ristoranti nessuno lo riconosce e gli servono quello che servirebbero a un cliente qualunque, ma secondo me è per non farsi riconoscere quando lo cercano per menargli”.

[Fonte: Il Fatto Quotidiano]