“Una Disneyland sul mare” e altre accuse del New York Times a Venezia

Il New York Times attacca duramente Venezia, descritta come una "Disneyland del cibo" in preda al turismo mordi e fuggi oltre che alle ciclopiche navi da crociera. Ma politici e amministratori locali parlano ei complotto ordito dalla stampa straniera

“Una Disneyland sul mare” e altre accuse del New York Times a Venezia

Se Thomas Mann fosse vissuto ai nostri tempi, non avrebbe titolato il suo racconto “Morte a Venezia”, ispirato dal fascino esclusivo della splendida città lagunare, bensì “Complotto a Venezia”.

Oscuri intrallazzi e giochi di potere sotterranei si staglierebbero all’orizzonte della perla della laguna, in un intrico di mosse concordate per screditare l’immagine della Serenissima nel mondo intero.

Questo, più o meno, sostengono amministratori e politici locali, che vedono nelle frequenti denunce di degrado e perdita di identità da parte dei media internazionali, un chiaro intento denigratorio ai danni del capoluogo veneto messo in atto per oscuri motivi.

Soprattutto, la reazione delle istituzioni locali è stata unanime contro il New York Times, che ha denunciato il degrado di Venezia paragonandola a una “ Disneyland del mare”, ostaggio del “turismo di massa con la merenda al sacco che fa i suoi bisogni sotto i loggiati”.

In effetti, a guardarla, Venezia ha perso molto del suo fascino aristocratico: oggi, continua il New York Times, la musica di fondo non è più il dolce rumore delle acque sotto i ponti, ma “le rotelle delle valigie dei visitatori che passano sui gradini delle strade, mentre orde di turisti marciano lungo le calli”.

La lingua più diffusa non è certo l’italiano o il dialetto veneto, ma una lingua franca internazionale, composta da inglese, cinese e russo.

Anche il panorama di calli e canali è stato sostituito dal profilo delle grandi navi da crociera, “uno spettacolo inaccettabile”, ma in grado di assicurare a Venezia le risorse economiche di cui non può fare a meno.

Una versione “Las Vegas” della città, presa d’assalto ogni anno da circa 28 milioni di turisti. Praticamente, lo stesso numero di Barcellona, che però ha 29 volte più abitanti rispetto ai 50.000 di Venezia, oltre a un’estensione di gran lunga maggiore, e il cui sindaco, Ada Colau, solo un paio di anni fa aveva affermato: “non vogliamo diventare come Venezia!”.

Un campanello di allarme, un segnale che politici e amministratori locali avrebbero dovuto considerare, invece di ribattere menzionando l’incontestabile bellezza di Venezia ma ignorando il problema di un flusso di turisti che la città non può sopportare.

Invece di rendersi ridicoli, come ha fatto l’assessore al turismo veneto Paola Mar, che ha ribattuto all’articolo del New York Times dichiarando alla stampa locale che “c’è una regia dietro questa campagna di stampa mondiale contro Venezia”.

Quella stessa regia che imporrebbe a gruppi di giovani alticci di fare il bagno nudi lungo i canali, a signore disinibite di fare i loro bisogni per strada e a legioni di turisti di riversarsi ogni giorno senza sosta nella città lagunare.

Poco importa che anche il ministro alla cultura Dario Franceschini abbia rilevato che “a Venezia c’è un problema di sovraffollamento”, arrivando a ipotizzare il numero chiuso per i turisti: le tesi complottistiche rimangono sempre, e di gran lunga, le più affascinanti.

Intanto, mentre Venezia perde il fascino da antica nobildonna decaduta per assumere quello pacchiano e scintillante del luna park di paese, rappresentato da giovani turisti con il panino in mano, il cellulare nell’altra e i piedi a mollo negli antichi canali, gli ultimi, sparuti veneziani hanno abbandonato Piazza San Marco, il ponte di Rialto e tutto il centro della città, per trasferirsi nel meno caratteristico ma più tranquillo quartiere di Castello.

No, a Venezia non c’è in realtà nessun complotto. Solo tanti, troppi turisti. E la maggior parte di loro, pure maleducati.

[Crediti | Link: New York Times]