Di happy, l’aperitivo milanese delle sei di sera, non ha più nulla

La Milano da bere non la beve più, l’happy hour ha stancato. O meglio, l’happy hour non è più quello di una volta. Il grido d’allarme riecheggiava sul Corriere di ieri, edizione Milano, dove un campione di giovani cervelli in fuga esprimeva sentimenti agrodolci: “Ho trovato drink buoni in giro, ma a che prezzo? A Madrid ci sono posti dove la birra costa 1,50 euro e ti offrono un piatto abbondante di tapas. Qui ormai solo due patatine e un sottaceto, gli amici madrileni cui avevo parlato dell’happy hour milanese erano delusi”.

Drink cari e cibo in versione ridotta rispetto a qualche anno fa. Ma non tutti sono d’accordo: “Di Milano mi manca tanto l’happy hour, in Francia c’è l’aperitivo, che è diverso: l’oliva, la nocciolina, ma poi la cena è a casa. Ricordo quelle carrellate di buon cibo self service, abbondante, da sfamarsi, ai Navigli. E più mangiavi più potevi bere, con lo sconto”.

E poi, solo sul Corriere cartaceo, lo scrittore Alcide Pierantozzi marchigiano trapiantato a Milano, tra blacklist (il Cape Town sulla Darsena, “dove il buffet è un accozzaglia di patatine liofilizzate in una pentola di plastica dove tutti affondano le mani, con quattro grissini in croce e qualche pezzo di cetriolo ammuffito, tanto che verrebbe voglia di chiamare la Asl”) alternative sensate (l’Uragano, 500 metri più avanti, in via Pasquale Paoli, dove l’ora felice dura fino alle 2 del mattino e i prezzi sono più bassi”) e manciate di “hipster” o “radical chic” confermava che di happy, l’aperitivo milanese delle sei di sera non ha più nulla.

Bella, al solito, la lista di posti all’aperto del critico Valerio Visintin, con il Gogol and Company al numero uno (“è una libreria, è un bar, è un bistrot con selezione di affettati e di formaggi”) e citazione anche per il lussuosissimo hotel Bulgari (“cucina raffinata e prezzi stellari”).

Alla fine, l’elemento critico dell’happy hour sembrano i professionisti dello sbafo che in una spirale perversa non incoraggiano i gestori ad andare oltre le insopportabili patatine rinsecchite o le olive mollemente sedute in panca.

Per chi vuole mangiare di più è stato coniato uno dei più brutti neologismi della lingua italiana: Apericena. A questo punto meglio abolire il buffet e fare dei buoni cocktail accompagnati giusto da qualche stuzzichino, come succede al Nottingham Forest o al Rita’s. Perché l’altra variabile che è cambiata, nell’equazione dell’happy hour, è la coscienza gastronomica.

Roma capitale dello street food, con la pizza di Bonci, i trapizzini di 00100 e numerose altre alternative, dove è sempre possibile bere una birra artigianale di quelle giuste: dimenticare l’happy hour milanese non potrebbe essere più facile. La città dove persistono le code da Luini e Spontini dovrà aggiornarsi, è il mutamento della domanda che glielo chiede.

Meno abbuffarsi e più mangiare, meno ubriacarsi e più bere, meno happy hour e più cibo di strada, tapas, bistrot. Ma per i nostalgici dell’aperitivo Made in Milan, quali sono, oggi, i locali di riferimento dove trovare qualcosa più di pochi tristi vassoi di cibo scadente?

[Crediti | Link e immagini: Corriere Milano]