Venezia, la gastroxenofobia di sinistra

Venezia vieta il kebabGli abbiamo detto che non avendo vere palle per fare leggi di segregazione razziale, e magari farsi sputare dal mondo, si accontentano di proibire il kebab. Ci siamo andati pesanti, abbiamo scritto prima di Lucca, poi di Altopascio, Bergamo e Milano, che non potendo bombardare Gaza se ne sono venute con l’idea di una fatwa contro i cuochi Saraceni. Ma l’altro giorno è stata la giunta di Venezia a bloc­care le nuove aperture di kebab. A chi lo diciamo adesso che questo benedetto kebab è proteine, latticini, vitamine e gusto? A Massimo Cacciari? E io che mi pensavo il sindaco illuminato, “l’unico intellettuale esistente a sinistra”, lo sapesse da sé.

E pazienza se ha deciso che possono aprire solo negozi utili a chi vive a Venezia. E pazienza se ha assodato che il cibo consumato in strada è disdicevole per i turisti. E pazienza se pensa che di questo passo i locali tipici del centro storico spariranno. E pazienza se il suo senso estetico rifiuta gli arredi dei kebab inadeguati alle architetture della città. Ma scusate, allora perché non ha proibito i fast food? Non fa differenza neanche se parliamo di puzza. E perché ho come l’impressione che nonostante le onde viola e i No-B Day, la xenofobia gastronomica abbia contagiato anche la sinistra?