Banco vini e alimenti a Torino, recensione: bistronomie e fastidio

Recensione di Banco vini e alimenti a Torino, enoteca con cucina nonché bistronomie nota per la selezione di vini naturali. Il menu, i prezzi, le foto, le nostre opinioni (e qualche critica).

Banco vini e alimenti a Torino, recensione: bistronomie e fastidio

Quanti sono i posti della vostra città in cui tornate abitualmente? Ecco. Per me, Banco a Torino, è uno di quei pochi. Banco è una certezza: Banco, vini e alimenti, Banco, tapas e animelle, boccadillo di maiale e vini “naturali”. Banco sempre uguale a se stesso che resta in pista, sulle guide e negli affetti della clientela gourmand di Torino, nonostante da quando ha aperto i battenti, nel 2014, di locali simili (come vogliamo chiamarli, wine bar con cucina? Radical-enoteche con interiora alla lavagna?) ne siano sbucati parecchi.

Le nuove aperture non scalfiscono Banco, spin-off di Consorzio (monumento alla bistronomie, osteria chicciolata di Slow Food, punto di riferimento su Torino per qualunque gastronomo vivente, la lista d’attesa più lunga di quella dei debiti di Paperino) che si pone come prêt-à-porter del suo ristorante primigenio per ambiente, servizio e proposta, benché a conti fatti, vi assicuro, il conto finale non vi si discosti molto.

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Il fatto è che Banco è un’istituzione (quasi) quanto lo è Consorzio: il sito internet è un dominio occupato, – ah, il lusso di non comunicare, quello che si concede Gaja – , la vetrofania un memorandum per chi, come me, ogni tanto si dimentica dell’esistenza di qualche guida, le critiche messe nero su bianco non pervenute.

Menu e prezzi: come si mangia da Banco

Perché da Banco, fondamentalmente, si mangia bene: la formula è sempre quella, ineludibile win-win per ristoratore e cliente.

Per chi scoprisse solo ora Banco, attraverso questa recensione, cercherò di essere telegrafica: non resisterete alle “ciapas” (tapas piemontesizzate, benché prevalentemente a livello semantico), quasi sempre deliziose e a un prezzo che vi parrà trascurabile (dai 3 ai 5 euro) fino all’emissione dello scontrino; sarà allora che, fissandolo, direte “ma come diavolo ho fatto a spendere..ah già, le ciapas”.

Poi, le portate principali, che costicchiano, considerando ambiente e servizio da bistrot e porzioni da ristorante. Lo accetterete di buon grado, per rispetto delle materie prime e di una cucina che, in molti casi, sottende una buona tecnica.

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Se andate per la prima volta prendete il bocadillo di maiale, o quello di chiocciole “metodo Cherasco” con il bagnetto verde: certezze. Alla mia ultima visita io ho optato per le alici fritte (5 euro), giusto per confermare che sì, sanno friggere.

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Più complessa e intrigante la sella di agnello “alla grissinopoli” con carote al forno (17 euro), una esemplare cottura à la mode ancienne torinese, in camicia di grissini, che mi conforterebbe moltissimo se non fosse per l’immediato confronto con l’altro secondo piatto, quello ordinato dalla mia commensale, il diaframma con i friggitelli (17 euro), quello mi incupisce. Voi che ne sapete di gastronomia forse potete aiutarmi: come è possibile che sella di agnello e diaframma siano vendute allo stesso prezzo?

Misteri della compensazione, inintellegibili strategie del food cost, o forse, friggitelli preziosissimi.

Ad ogni modo, entrambi i piatti erano impeccabili. Quasi capaci di farmi dimenticare il primo piatto, quello inutile, che ho ordinato: un minestrone di legumi da 11 euro versato in un piatto “bowl” dal concavo davvero poco capiente, il sapore poco rilevante nonostante la presenza di quelle che credo fossero cotiche e la chips di cavolo a rendere più ricercata quella che di fatto è una dose non sufficiente di semplice minestra.

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Anche l’insalata di radici (6 euro), vi confermo, è una banale insalata di carota e rapa: la colpa è mia, leggo “radici” e chissà cosa mi aspetto.

Come si beve da Banco

Il fulcro dell’esperienza, da Banco vini e alimenti, al di là dell’estetica dello scrostato (cit.prof Nicola Perullo) che pervade l’ambiente in posti come questo e dello spirito radical portato allo stremo, dall’omaggio a Emiliano Zapata sopra la macchinetta del caffè fino all’antibagno, oltre alla distinta cucina e al banco (per l’appunto) di formaggi e salumi – pochi ma buoni, a disposizione per la spesa o per il tagliere misto, che pagherete moltissimo – è il bere.

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La vetrata d’ingresso, un’enoteca a disposizione del cliente per l’asporto e il consumo in loco, è una dichiarazione d’intenti e l’arrivo della carta vini, d’altro canto, fa sempre il suo effetto: “Il sole nel bicchiere” e i “Figli del vulcano” sostituiscono gli elenchi per colore e regioni figli della convenzione. Una selezione brillante, piuttosto aggiornata, e una rotazione alla mescita costante compensano ricarichi che non mi paiono onestissimi. Il servizio, spiace dirlo, non è all’altezza dell’offerta: le risposte svogliate non sono giustificabili in posti dalle simili velleità.

E se ordino un calice vorrei vedere la bottiglia dalla quale è stato versato, specialmente se lo pago 7 euro e non mi è arrivato proprio un secchiello di vino.

La birra, poveraccia

Più grave ciò che vedo (da anni a questa parte) sfogliando le pagine della ricercata carta: il foglio dedicato alla birra artigianale è, inutile girarci intorno, fraudolento. Accanto all’icona del lambic belga Brasserie Cantillon, quasi come se appartenessero alla stessa categoria, c’è Birra del Borgo, il birrificio di Rieti (per no’ altri fu icona, anch’esso) che tre anni or sono ha venduto al colosso industriale Ab InBev.

Non starò ad annoiarvi con i Regolamenti UE o con sproloqui (questa è una recensione, d’altro canto) sulla comunicazione ingannevole e su quanto la somministrazione di alimenti e bevande sia alla base della confusione del consumatore almeno quanto la vendita degli stessi. Preferirei, invece, lasciarvi con un punto interrogativo: i fighi della gastronomia hanno maggiori responsabilità nei confronti della loro clientela?

Mi spiego meglio: quando si diventa un punto di riferimento per il mondo del cibo, si è indiscutibilmente trendsetter e le proprie mosse vengono prese ad esempio dagli altri ristoratori, perpetrare un comportamento (oggettivamente) errato può essere giudicato più grave? Non parlo di multe differenziate, ma della nostra opinione nei confronti di chi, fregandosene, dà il cattivo esempio.

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Direte voi che la legge non ammette ignoranza, ma io dico che se sei saputo, oltre a sbagliare, sei str***. Il pizzaiolo di paese che spaccia una “non filtrata” industriale per artigianale fa persino tenerezza: è molto probabile che un qualche distributore volpone gli abbia spacciato una cosa per l’altra e, in ogni caso, nessuno considererà il suo locale un riferimento per il settore o lo recensirà con tutti gli onori suggerendo che quello sia lo standard da raggiungere.

Banco lo è, e non credo mi venderebbe Auricchio al posto del Comté: potreste trovare irrilevante qualche piatto, potreste considerare esosa qualche proposta, ma la scelta dei prodotti, lì, è impeccabile. Forse non sempre comunicate con entusiasmo contagioso, etichette e materie prime vengono selezionate e somministrate in base a un tacito accordo di fiducia che vige nel mondo della bella gastronomia e rende ancor più mendaci comportamenti di questo genere, in questo caso riservati unicamente alla birra, come spesso capita nella ristorazione.

banco vini e alimenti

Informazioni:

Banco Vini e Alimenti

Indirizzo: via mercanti 13 F, Torino

Numero di telefono: 011 764 0239

Orari di apertura: aperto dal lunedì al sabato dalle 12.30 alle 14.30 e dalle 18.30 alle 23.30; chiuso la domenica

Sito web: bancoviniealimenti.it

Tipo di cucina: bistronomie curata

Ambiente: informale

Servizio: personale preparato, talvolta poco attento

Voto: 3,4