Domino’s Pizza Torino: com’è, ordinata a domicilio

Domino’s Pizza Torino: com’è, ordinata a domicilio

Abbiamo provato Domino’s Pizza Torino, a domicilio. Tra le pizze della catena americana abbiamo scelto quelle più in stile USA, per valutare poi il loro servizio di food delivery, tra consegna del cartone, stato del prodotto all’arrivo e sapore, ovviamente. Ecco com’è

Nel caso non ve ne foste accorti (molto difficile per la verità, dato il marketing di prossimità attuato, con messaggi che arrivano ai residenti di zona in occasione di una nuova apertura), in Italia è arrivata Domino’s Pizza.


È successo nel 2015, ad onor del vero: la multinazionale della pizza all’americana, fondata nel 1960 e proprietaria di oltre 16mila punti vendita nel mondo, è sbarcata nella patria quattro anni fa, e a oggi conta una trentina di punti vendita tra Milano, Torino, Bologna, Modena, Genova e Brescia (nulla di pervenuto, almeno per il momento, nel Sud Italia, dove nessuno ha ancora osato mettere in discussione la tradizione della pizza).

Al tempo recensimmo il primo ristorante di Milano. Oggi, mentre a la catena si diffonde a macchia d’olio (domina! ah-ah), proviamo il loro food delivery, in questo caso ordinando dalla capitale sabaduta, nonché da uno dei punti vendita di Domino’s Pizza Torino.

Premessa di natura anti-nazionalista: qui il punto non è Italia VS America, neanche nella declinazione pizza americana VS pizza italiana. Lo premettiamo perché le critiche rivolte alla catena, almeno sui social, sono su per giù le stesse. Spesso gli utenti di Facebook scrivono, sotto la pagina di Domino’s: “ma la vostra non è una vera pizza!”,  e l’azienda dà più o meno sempre la stesa risposta standard, al netto delle varianti: “Ciao XY, la nostra pizza ha un cuore italiano e l’american way! Usiamo materie prime di qualità e un impasto che non è mai pronto prima di 48 ore, così da essere buono ma anche digeribile! Di americano abbiamo il rigore nei tempi di consegna, di produzione e qualche farcitura ghiotta e stravagante!”.

Siamo qui innanzitutto a chiederci una cosa. Ma come, i riders nostrani fanno un Quarantotto per ogni cosa, perfino per le mancate mance dei vip, e non s’offendono sentendosi dire che i fattorini americani sono più veloci e precisi di loro? Mah.

L’ordine online

Incuriositi dalle “farciture ghiotte e stravaganti”, è proprio su quelle che decidiamo di dirigerci: d’altronde, se questa cosa la dobbiamo fare, allora vale la pena di farla come si deve. Sul menu c’è proprio una sezione a parte, dedicata alle farciture American style, le “Domino’s Legend”: evitiamo la classica (e ormai arcinota) pizza hawaiana con l’ananas e optiamo invece per quello che di più strano c’è nel menu: la Pizza Cheesburger (salsa Domino’s, mozzarella, cheddar, bacon, cipolla, hamburger, salsa burger) e la pizza Pepperoni Passion (pomodoro, mozzarella, jalapeno rosso, grana padano, scamorza affumicata, doppio salame piccante, peperoncino macinato).

È una sfida quella che volevamo, e in effetti è una sfida quella che avremo, su entrambe le pizze ordinate.

L’ordine online procede un po’ lento, con domande capaci di mettere in crisi. Vuoi modificare la pizza? No, non voglio.

Anzi, sì, voglio.

Quattro impasti diversi tra cui scegliere (pizza, pan pizza, gluten free e cheesy crust, con il cornicione ripieno di formaggio) e un numero imprecisato di possibili varianti: quanta mozzarella vuoi, quale salsa vuoi, quali ingredienti vuoi aggiungere o togliere. Massima libertà per il cliente, è vero, ma noi, a metà ordine, ci siamo persi – e pure stufati – al punto da non essere più certi di cosa abbiamo ordinato (sì, c’è poi il riepilogo nel carrello, ma anche avendo sbagliato qualcosa non ce la sentiremmo di rifare tutto da capo).

Qua e là, a mo’ di banner pubblicitari, compaiono ulteriori proposte (aiuto). Vuoi abbinare alla tua pizza uno stuzzichino, per esempio uno stick di pollo? Dio ce ne scampi, siamo a posto così. Vuoi qualcosa da bere, tipo una Coca Cola? Ma va’, ho il frigo sempre pieno di birre.

Stolta io a non aver capito subito che quello della Coca Cola era un consiglio per aiutare la digestione: cavoli, se ne avrei avuto bisogno, poi.

domino's pizza

Completando l’ordine, una piacevole sorpresa: tra i pagamenti previsti c’è anche la possibilità di pagare con il bancomat direttamente al fattorino. Più comodo della carta di credito e anche dei contanti, almeno per me che ho sempre il portafoglio vuoto.

Approfittando di una delle tantissime promozioni in corso (un po’ come per la nota catena di poltrone, dove i divani costano sempre la metà, o il 20%, o sono due al prezzo di uno), paghiamo la pizza meno cara 5,50 euro, e arriviamo a un totale di 18 euro (di cui 2,50 di consegna). Non pochissimo, a dire il vero: con quella cifra ci vengono in mente un milione di locali a cui ordinare una buona pizza napoletana (ma qui, lo ribadiamo, non è in corso nessuna sfida nazionalpopolare).

Le pizze: come si presentano

La consegna a domicilio, da parte di Domino’s Pizza Torino, è velocissima: in un batter d’occhio mi ritrovo con le mie due pizze super americane, che mi arrivano in due cartoni non bellissimi, a dire il vero. Il marrone fa tanto scatola da trasloco. Sarà una scelta di design o sarà che sono confezioni riciclabili? Se la motivazione è la seconda, ci permettiamo di consigliare un cambiamento: dato lo strato di unto e residui di cibo vari lasciati sul cartone al termine della cena, noi abbiamo preferito comunque buttare tutto nell’indifferenziato.

domino's pizza

La seconda sorpresa è la dimensione della pizza: una è la metà dell’altra. Come vi avevamo premesso, ci siamo persi fra le mille opzioni disponibili, e non siamo del tutto sicuri di non aver chiesto, chessò, una pizza baby. Più probabilmente però, la motivazione è da ritrovarsi nel fatto che per la nostra Pepperoni Passion, (come se non ci fossimo già fatti sufficientemente del male a livello calorico), abbiamo optato per un cornicione ripieno di formaggio, variante che forse ha cambiato l’assetto generale della pizza.

L’assaggio: Pepperoni Passion

domino's pizza

All’aspetto, le pizze sembrano in effetti golose. Super condite, unte (untissime, a giudicare da quello che rimane sul cartone e sulle mie mani, che anche nelle foto restano lucide come la testa di mio nonno quando non aveva più un capello).

Partiamo dalla Pepperoni Passion, la nostra pizza baby (non vorremmo trarre in inganno: sia chiaro che sconsigliamo di darla ai bambini, visto che è piuttosto hot). Proviamo a tagliarne una fetta: la mole ragguardevole di formaggio che la condisce fila, eccome se fila, ma il filo è talmente spesso che non si spezza, e davvero non riusciamo a separare una fetta senza trovarci in mano un triangolo vuoto, con tutto il condimento rimasto a terra. Questo anche perché la pizza appare da subito sbilanciata (non parliamo di gusto, ma intendiamo letteralmente “sbilanciata”): il condimento è talmente pesante da trascinarla giù, ed è un’impresa tenere in mano una fetta.

Sul gusto non sappiamo bene che dire: abbiamo la bocca anestetizzata. Però c’è da dire che a noi il super piccante piace: lo abbiamo chiesto e ce lo teniamo, poche storie.
Il vero problema, ahinoi, è la quantità di formaggio. Dopo qualche foto di rito per l’articolo (ma probabilmente sarebbe stato lo stesso prendendosi una piccola pausa per bere tra un morso e l’altro), il condimento s’è raffreddato, e si è trasformato in un agglomerato di formaggio di scarsissimo appeal.

Passiamo al cornicione, quello ripieno di formaggio. Se ci immaginavamo un contorno filante, qui siamo rimasti davvero delusi. Il formaggio è poco più di un salamino che riempie metà di un cornicione gigantesco e no, saranno i tempi del delivery o il tempo delle foto, non ci è arrivato di certo filante.

domino's pizza

Avevamo immaginato di parlare di impasto, di alveolatura, di cose tecniche sulla panificazione ma davvero, in questo caso ci sembra di infierire inutilmente.

L’assaggio: Pizza Cheeseburger

domino's pizza

Stesso discorso, più o meno, per l’impasto dell’altra pizza che abbiamo assaggiato, la pizza Cheeseburger. Una pizza sottilissima, con un cornicione praticamente inesistente e, nonostante questo, un colore interno bianchissimo che fa pensare a un impasto non cotto alla perfezione.

domino's pizza

Quanto al condimento, la formula è facile: prendete un cheeseburger di quelli tosti e riversatelo su una pizza. Il risultato è davvero – davvero! – impegnativo: soltanto questa pizza basterebbe a sfamare la mia famiglia (e siamo quattro persone) il che, economicamente, è indubbiamente un vantaggio.

Unta, abbiamo già detto che è unta (ma d’altronde, cosa ci aspettavamo da una pizza al bacon), totalmente ricoperta da una salsa al formaggio che copre persino il gusto della pancetta.

domino's pizza

Oggettivamente, per gli amanti del comfort food all’americana, può essere la goduria fatta pizza. Non lo è però per noi, che proprio fatichiamo a mangiarne più di un paio di fette senza sentirci irrimediabilmente sazi e con un persistente gusto di salsa in bocca.

Conclusione

Se fosse in corso una sfida, chi scrive non avrebbe dubbi: viva la pizza napoletana. Ma questo è un giudizio personale, basato su questa singola esperienza, perché non c’è bisogno che il mondo ci spieghi quanto ormai gli Americani siano bravi – bravissimi – a fare la pizza, come ogni altra ricetta sulla faccia della terra. Solo, per favore, non metteteci sopra un cheeseburger.