Enrico Costanza: intervista all’ortolano di Piazza Duomo che ha riscoperto la carota Sisaro

Intervista ad Enrico Costanza, culinary gardener del ristorante Piazza Duomo a fianco di Enrico Crippa, che ha appena riscoperto il Sisaro, carota del Roero.

Enrico Costanza: intervista all’ortolano di Piazza Duomo che ha riscoperto la carota Sisaro

Enrico Costanza è sicuramente il più celebre culinary gardener italiano. O meglio, il più noto tra gli “ortolani”, come lui stesso ama definire la categoria. Gestore e custode dell’orto che è alla base della cucina di Piazza Duomo di Alba, regno di Ernico Crippa e senza dubbio il tristellato italiano in cui la linea autoriale concede più risalto ai vegetali, incarna una sorta di fornitore 2.0: la sua posizione gli permette un dialogo unico e reciproco con uno dei più grandi autori italiani.

L’occasione per questa chiacchierata è il progetto di recupero legato al Sisaro, un’antica varietà di carota che verrà presentata a Govone nell’ambito degli eventi del Magico Paese di Natale e del primo Festival del Cibo del Roero, nei weekend del 30 Novembre e 1 Dicembre e del 7 è 8 Dicembre.

In ognuna delle quattro giornate di Festival, ci saranno tre incontri divulgativi con degustazione finale (alle 11, alle 15 e alle 16.30) in cui verranno coinvolte realtà importanti per queste zone: Confartigianato Cuneo, Valgrana, Slow Heat (una realtà che si occupa di elicicoltura, cioè l’allevamento di chiocciole a scopo alimentare), il Pastificio Alfieri, gli Amaretti Virginia e via dicendo.
Tanti appuntamenti di racconto e assaggio dei prodotti del territorio, e due focus “stellati”: il primo (domenica 1 dicembre) è quello di Davide Palluda, chef una stella Michelin all’Enoteca di Canale, che racconterà e interpreterà la pera Madernassa, mentre l’8 Dicembre sarà appunto il turno di Enrico Crippa.

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Enrico, come si arriva a recuperare una carota dimenticata?

“Nelle mie ricerche mi rifaccio spesso all’opera di un eminente botanico piemontese, Oreste Mattirolo. Persona particolarmente bella, tanto che nel primo dopoguerra pubblicò un manuale, Phytoalimurgia Pedemontana, che insegnasse alla popolazione a riconoscere e a cibarsi delle erbe spontanee della flora del piemonte, permettendo, in un momento di povertà estrema, di mangiare anche alle persone più indigenti”.

Una sorta di foraging ante litteram e salvavita insomma

“Sì. E in un capitolo di questo libro si parla di una carotina bianca, dolcissima e croccante, non un ibrido come quelle arancioni a cui siamo abituati, ma una specie naturalmente presente in natura, il Sisaro. Pare –e sottolineo pare- che fosse proveniente dall’Asia per poi essersi diffusa nell’area germanica, venendo poi portata da noi dalle popolazioni barbariche. Scomparirà con l’avvento delle carote arancioni, il cui colore era un omaggio alla famiglia reale olandese, più grandi e polpose. Lo stesso Mattirolo lamentava la scomparsa di questo ortaggio, nonostante il Piemonte fosse una zona particolarmente vocata, e anche il curatore del libro, Bruno Gallino, si chiedeva come mai non fosse venuto in mente a nessuno di recuperarne i semi e metterlo in produzione”.

E l’avete fatto voi

“Ci tengo a sottolineare che non abbiamo inventato nulla. Ci siamo rifatti alle fonti, ci siamo procurati i semi e abbiamo proposto queste carote al nostro chef, he ne ha subito apprezzato anche l’aneddotica. Anche Bruno Ceretto, patriarca del progetto Piazza Duomo ha preso a cuore il progetto che culminerà l’8 di Dicembre con la distribuzione dei semi ai coltivatori locali per capire se effettivamente questa carotina si può “resuscitare”. È bruttina, ma è una varietà molto saporita e resistente a basse temperature e malattie, e lo chef Crippa le ha dedicato due piatti per l’occasione”.

È il revival dei frutti dimenticati

“Dura ormai da un decennio. A volte però mi capita di pensare che questo sfoci un po’ nel fazioso, nell’eccesso di localizzazione, “la nostra terra” “la nostra carota” “la nostra zucca..”

Sovranismo vegetale?

“Eh, esatto. Anche se di fatto abbiamo visto che le piante hanno sempre viaggiato. Questa carota bianca viene dai barbari, e i vegetali si sono sempre trapiantati. L’Italia stessa è un’ottima zona di produzione ma non di nascita: pomodori, melanzane, mais non sono nostri, anche se alcuni storcono il naso”.

Con un personaggio di questa caratura non potevo esimermi dall’allargare la prospettiva del discorso. Troppe curiosità, troppe questioni da affrontare. Partiamo alla larga: qual è la situazione della botanica stellata, se ne esiste una?

“C’è un network di miei colleghi in giro per il mondo con cui sono in contatto. Non sono necessariamente “stellati”, anche trattorie in campagna, in tutta Italia. Oggi molti chef richiedono materie prime particolari fuori dai circuiti di distribuzione, noi coltiviamo ortaggi che il più delle volte non hanno una buona resa, o creano molte difficoltà in fase di raccolta. Io coltivo un pomodoro non ibridato, spinosissimo: ogni volta che ti chini a raccoglierlo sanguini! Noi siamo piccoli e ci possiamo permettere di coltivare questo genere di cose, così come prodotti che non hanno praticamente shelf-life”.

Come parte un progetto di recupero di un ortaggio? Crippa si sveglia una mattina e si ricorda di una pianta vista in un erbario medievale?

“Io faccio molte ricerche in biblioteca, ma ovviamente chi fa il mio mestiere è spesso un nerd, sia per la coltivazione che per il foraging, la raccolta delle erbe spontanee. Io cerco di creare un dialogo tra le parti per cui una volta al mese entro anche in cucina. Non posso dire che cucino, ma sono d’aiuto agli chef appena arrivati anche coi nomi delle piante, faccio vedere come dividere le foglie eccetera”.

Posso immaginare che solo con l’Insalata 21…31…41 ci possano essere grossi problemi di comunicazione

“Eh, figurati che ogni sera riceviamo un file excel “pornografico” in cui troviamo le necessità del giorno dopo di tutte le erbe con dimensioni e numero e delle foglie, L, M, XL, ne voglio 15, ne voglio 20… solo per compilare un file del genere ci vuole una grande competenza, al netto dei fraintendimenti tra i nomi comuni e la nomenclatura botanica”.

Sei anche uno che gira ristoranti?

“Sì, poi da quando faccio questo lavoro punto dei ristoranti che lavorino molto con le erbe e con i fiori, sono molto curioso”.

Perfetto, allora ecco la vera domanda: nella ristorazione cosiddetta gourmet, ci sono spesso delle correnti di ingredienti a cui non si può sfuggire. Capesante dappertutto, alici solo del Cantabrico… succede anche nel vegetale, con piatti ricoperti da microgreens, tagete da tutte le parti. Come vede questa cosa uno con la tua ottica?

“Eheh, evidentemente ci sono delle mode anche in ristorazione, penso all’acetosella rossa che ormai hanno tutti i ristoranti, sia che a coltivino che se la facciano recapitare in vaschetta. Mode a discapito di varietà di ortaggi che invece vengono dimenticate. Noi abbiamo delle varietà di cavolo commoventi, li assaggi e percepisci il sapore dell’inverno, della povertà. Sulla cottura dei vegetali, mi permetto di dire, non è stato detto tutto, e il nostro chef Crippa ne è veramente ossessionato. Credo inoltre la cultura social del “food porn” influisca molto su certe mode in cucina, ad esempio tutti ora vogliono fiori in tutte le stagioni, ma i fiori funzionano se dietro c’è una cucina che li sostiene. Si è influenzati dalle baby leaves che si trovano sul mercato, mentre il menù di Piazza Duomo parte dalla disponibilità che viene dal nostro orto”.

Come vedi il futuro della sinergia tra orto e ristorante?

“Penso spesso a questa cosa e credo che la soluzione più intelligente e meno complicata da realizzare, anche economicamente, sia quella di un orto condiviso, avendo un servizio sartoriale. Non coltivare e basta, ma farlo avendo già in mente lo chef, la persona, che è la cosa più importante. Nel futuro vedrete orti condivisi, gestiti da ortolani colti, illuminati che sanno riconoscere le necessità di quel determinato tipo di clientela, penso anche al servizio di consegna, altro punto spinoso”.

Domanda secca da gastrofregno: 3 nomi secchi di ristoranti che stanno lavorando come si deve dal tuo punto di vista:

“Il primo che mi viene in mente è quello di Martina Caruso del Signum di Salina, ci sono stato da poco e lei è veramente bravissima, e dotata di grande sensibilità. Vicino a casa mia sicuramente Michelangelo Mammoliti, neo bistellato, uno chef colto e curioso. E poi Isa Mazzocchi, ha una femminilità da signora della cucina che mi piace molto, è venuta nel nostro orto, ci sentiamo spesso, è una grande!”

Sei vegetariano?

“Sono assolutamente carnivoro”.