Al trabucco da Mimì: Mimì è morto, lunga vita a Mimì

Al trabucco da Mimì di Peschici è un grande pezzo della tradizione culinaria del Gargano, che anche dopo la recente morte del vecchio Mimì prosegue con i due nipoti. Ecco la recensione del ristorante

Al trabucco da Mimì: Mimì è morto, lunga vita a Mimì

Una delle cose belle del Sud Italia è che qui i posti diventano persone.

In questa trasformazione tutta meridionale, anche i più banali luoghi del quotidiano si trasformano nelle persone che li abitano, prendendone l’anima, la vita e, soprattutto, il nome.

La panettiera non è la panettiera, è Concettina. Non si va a mangiare al ristorante, si va da Maria, da Gennaro, da Tonino.

E quando si parla di trabucchi –le antiche piattaforme in legno utilizzate dai pescatori per distendere le loro reti nel mare– i trabucchi hanno un nome su tutti, ed è quello di Mimì.

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Siamo a Peschici, in pieno Gargano, e Al Trabucco da Mimì è probabilmente una delle trattorie più note e amate della zona.

A ragion veduta, diremmo noi, perché se sei da queste parti significa che il mare lo ami, e se ami il mare ti scoppierà il cuore per il Trabucco.

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Il mare lo senti, lo annusi e soprattutto lo mangi, al vecchio trabucco di famiglia che Mimì rimise in sesto nel 1956, una volta tornato da quel Canada dove aveva cercato (e trovato) un po’ di fortuna.

Quello che all’inizio era un piccolo bar dalla location originale, oggi è una solidissima trattoria, dove (come dice una lavagnetta) tutti i tavoli hanno la “vista mare” inclusa nel prezzo.

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Al Trabucco da Mimì si può anche venire “solo” per un romantico aperitivo sugli scogli, luci soffuse e panche realizzate alla bell’e meglio tra una roccia e l’altra.

Ma ha poco senso essere qui e non fermarsi a cena, almeno una volta (la prenotazione è indispensabile).

TAVOLI

Quando mettiamo piede al Trabucco, sono passati esattamente due mesi dalla morte del vecchio Mimì, che con sé ha indubbiamente portato via un pezzo gigantesco della tradizione del Gargano.

Ma prima di andare, come gli attenti uomini di una volta, ha fatto ben attenzione a lasciare tutto in ordine.

Ha concluso ciò che aveva iniziato, portando il Trabucco a essere rinomato fin su al Nord per la sua cucina di pesce squisitamente casalinga.

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E ha istruito i suoi nipoti Domenico e Vincenzo Ottaviano, simpatici, belli e talentuosi (recentemente si sono perfino messi a produrre una birra agrumata, la “bianca del Gargano”, affinché portassero avanti la tradizione di questo posto magico (troppo semplice definirlo solo “ristorante”) senza cambiare mai nulla di una virgola.

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Sorridiamo (ma ne eravamo certi), perché qui davvero non cambierà nulla, almeno per un bel po’.

Si continuerà a mangiare su piccoli tavolacci e panche di legno in cima agli scogli, con il rumore del mare che prepotente si inserisce tra le conversazioni.

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Si continuerà a fare pazientemente la fila per ordinare (con un enorme difficoltà a decidersi tra le proposte giornaliere del menu), e ci si vedranno portare al tavolo piatti colmi di pescato freschissimo, lavorato pochissimo o per nulla, come dovrebbe essere normale in qualsiasi ristorante sul mare.

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Ecco, voi, che friggete quintalate di anelli di totano surgelati, venite un po’ da Mimì a vedere come si dovrebbe fare. (A dir la verità, i calamari fritti surgelati ce li hanno in menu pure al Trabucco, ma abbiamo tralasciato facendo finta di nulla e immaginando che sia una concessione per i clienti più piccini).

Non c’è piatto che non sia totalmente dominato dal sapore del mare, qui da Mimì.

Forse alcuni clienti potrebbero non apprezzare l’insolito modo di ordinare, in piedi in coda, o l’impiattamento a volte un po’ rétro. Ma non di forma, bensì di sostanza, stiamo parlando. Di pesce, di tradizione e di cucina casalinga.

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Gli antipasti, per cominciare.

Gamberi rossi dolcissimi, ostriche, o carpaccio del giorno (per noi, ricciola). Il tutto toccato solo da un filo d’olio d’oliva.

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Certo, in generale, in un piatto come le cozze ripiene non possiamo certo dire che le cozze siano protagoniste; ma si parla di cozze ripiene, una delle meraviglie del creato culinario pugliese, e allora va bene che il pesce sia condito con tutto ciò che la ricetta prevede.

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Tra parentesi, le cozze ripiene del Trabucco erano di quelle in grado di superare il paragone con qualsiasi nonna. Davvero.

Sui primi, l’unica cosa che abbiamo trovato da dire (ma proprio perché dobbiamo fare i pignoli) è che avremmo gradito qualche secondo di cottura della pasta in meno.

Ma i sughi. Ommioddio, i sughi.

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Siamo stati vergognosi, per la quantità di tempo che gli apprezzamenti ai sughi hanno portato via alla nostra conversazione.

Cicatelli con vongole e salicornia (buoni), orecchiette ai crostacei (buonissime), troccoli al ragù di polpo (strepitosi).

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E, portati a casa con soddisfazione i carboidrati, non potevamo immaginare che il meglio dovesse ancora arrivare. Perché è nei secondi che il pesce pescato al Trabucco viene servito al suo meglio.

È nei secondi, che il mare che hai lì, appena sotto il tavolo, arriva dritto dritto nel tuo piatto.

Arrosto, alla griglia e perfino fritto, con una leggerissima panatura di farina che lascia spazio a tutta la bontà della materia prima che compone una paranza indimenticabile.

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Finalmente, un fritto che sa di pesce, e non di fritto. Sul menu pesci poveri, che sono quelli che più spesso e più in abbondanza regala il mare: cefali, spigole, orate, e le meravigliose trigliette.

È lì che la cucina del Trabucco dà il suo meglio.

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Perché sulle seppie alla griglia, ad esempio, pochi miracoli si possono fare: son semplici seppie, e stop. Quindi, se volete un consiglio, sono i pesci poveri quelli da ordinare.

Anche se vi costa fatica spinarli, anche se normalmente mangiate solo pesci bistecca.

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Se siete venuti fin qui, dovete onorare il lavoro dei pescatori del Trabucco, dovete onorare la storia di Mimì.

Come? Ci siamo dimenticati di dirvi quanto abbiamo speso?

Antipasto, primo, secondo, una bottiglia di ottimo vino rosato biologico pugliese fanno 40 € a testa.

Con amari della casa e caffè offerti, ci sembra di capire a tutti i clienti, al prezzo di un sorriso.

[Crediti | Immagini: Alessio Felicioni, Valentina Dirindin]