Torino: 18 ristoranti senza rivali nel 2018

I 18 ristoranti migliori di Torino nel 2018. Consultate la mappa del capoluogo piemontese per andare a colpo sicuro

Torino: 18 ristoranti senza rivali nel 2018

In collaborazione con Lavazza

È primavera a Torino, da circa un anno. La ristorazione sabauda è interessata da una specie di risorgimento gastronomico, come già scritto dal nostro Luca Iaccarino qui su Dissapore.

Un nuovo corso che ha contagiato osterie e trattorie, nonché la bistronomie dell’ultimo decennio, coinvolgendo anche le tante aperture recenti.

[Del Cambio e il nuovo risorgimento di Torino: Il buonappetito]

Oggi riassumiamo questo fermento in una guida con tanto di mappa. O meglio, Gourmap: la mappa di Dissapore, completa di recensioni aggiornate, informazioni utili e indirizzi.

La redazione ha scelto 15 ristoranti, poi, con l’aiuto di Lavazza, abbiamo aggiunto 3 osterie di cui non potete fare a meno. La scena gastronomica torinese di fine 2018 è a portata di smartphone.

Ristorante Consorzio

Se oggi Torino è la città italiana della bistronomie è anche per merito di Gherra e Pietro Vergano, che dal 2008 servono sulle tavole quadrettate del Contesto una cucina radicale, viscerale e puntualmente sold-out.

Tecniche brillanti e materie prime che non si sa dove trovare altrimenti per ricette tradizionali, qualche volta disperse: è la neo-osteria per antonomasia, oggi supportata (anche) dallo chef Miro Mattalia. Imperdibile il loro quinto quarto, ma fate caso ai formaggi: un carrellino di sole rarità. Vini, talvolta birre, radicali.

Scannabue

Scannabue, Torino

Altro caposaldo della bistronomie torinese, stesso anno d’apertura, il 2008 (e badate che, allora, la piazza su cui s’affaccia il locale era infelice), ma tutt’altro ambiente, elegante.

La tradizione rivisitata di Paolo Fantini e la carta vini appassionata di Gianluigi Desana rendono quasi inspiegabile una spesa media tanto contenuta. Mettete in conto una spesa tra i 30 e i 40 euro, escludendo i vini, per una carne cruda totalizzante, l’imperdibile cannolo ripieno di Seirass, le lumache o i plin al sugo d’arrosto come Dio comanda. Accanto, la Gallina Scannata propone una cucina più improntata sul pesce, spin-off di Scannabue in chiave più informale.

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La novità di Torino 2018, indiscutibilmente. Ve lo abbiamo più volte presentato come il ristorante più divertente della città: nel nuovo quartier generale di Lavazza, è un format basato sulla condivisione. Grandi terrine da cui attingere tutti insieme e miniature che racchiudono culture interconnesse, vecchio e nuovo, in piccole tapas ultra-scenografiche.

[Condividere: com’è mangiare nel ristorante più divertente di Torino]

Un’allegria complessiva che trasmette leggerezza. Uno spettacolo in due atti, diviso tra lo spazio (nonché il tempo) dedicato al salato e una seconda sala, solo per i dolci. Come ogni performance ben riuscita non fa sentire il peso del lavoro richiesto, quello delle mani e delle menti unite di Ferran Adrià e Federico Zanasi, chef all’opera, insieme al premio Oscar Dante Ferretti, che ha curato l’ambiente. Con 60 euro a testa vi toglierete parecchi sfizi.

Del Cambio

Del Cambio, sala RisorgimentoDel Cambio Gamberi in salsa cocktail

261 anni di storia rimasta intonsa, almeno negli stucchi e nelle laccature dorate del ristorante che fu il preferito di Camillo Benso detto Cavour. Oggi Matteo Baronetto riporta la sue sale auliche agli antichi fasti, affiancando la pulizia e la nettezza della rivisitazione contemporanea alla pomposità di un tempo.

Un contrasto tra ambiente e cucina, ma soprattutto nella cucina stessa: il menù degustazione proposto al momento, “Nel tempo”, accosta due versioni dello stesso piatto in chiavi diverse, una classica e una contemporanea. Il bunet è una languida fetta, ma è anche una sfera.

Spazio 7

Spazio 7, torino

Tra le rivelazioni dell’anno appena trascorso, Spazio 7 si è aggiudicato una stella Michelin per la cucina di Alessandro Mecca, un connubio tra il classico e l’estroso negli spazi della fondazione Sandretto Re Rebaudengo, firmata da Claudio Silvestrin, a sua volta ideatore del Ristorante Oblix di Londra.

Con qualche bell’omaggio al Piemonte, il menù alla carta invita molto più di altri e costringe a un bivio con il percorso degustazione (5 portate a 60 euro o 7 a 60) completamente all’oscuro del cliente.

Magazzino 52

La fama della sua carta vini lo precede, annunciata dalle pareti a scaffale di signore etichette e rarità da appassionati, nonché dalla citazione di Wine Spectator, che annovera Magazzino 52 tra i due ristoranti con le migliori bottiglie di Torino insieme a Del Cambio.

Il punto è proprio questo: al netto di un panorama gastronomico, anche torinese, quantomai ricco di wine bar fornitissimi, con una piccola cucina anche brillane, Magazzino 52 riesce ad avere una proposta (quasi) alla pari della carta vini. Pochi piatti, molti a rotazione, con una predilezione per stracotti, pasta fatta in casa e grandi ricette della tradizione locale.

Magorabin

Lo stupore che spesso si critica alle cucine degli stellati, dal “Mago”, all’anagrafe Marcello Trentini, è una tensione naturale. Una cucina eccentrica quanto basta per impersonare lo chef che vi divertirà fin dall’ormai celebre amuse bouche, il gianduiotto ripieno di foie gras, accompagnato da altri ennanta appetizers.

Fondi bruni, tartufi macerai nel vermouth, pesce crudo su stracotti e un pre-dessert al bloody mary che non si dimentica facilmente: tanti eccessi molto graditi e cocktail all’altezza della situazione, per una volta.

Casa Vicina

Emblema della regionalità ingentilita dentro il punto vendita di Eataly Lingotto, il primo del marchio. Una stella Michelin alla rivisitazione di insalata russa, lingua al bagnetto e batsuà apportata da Anna Mastroianni e Claudio Vicina.

Ogni piatto ha del Piemonte, qualcuno nei sapori, dove il ragù di coniglio va sullo spaghettone di grano duro, qualcun altro nell’essenza, ma ha preso altre forme: è il caso di piatti signature come la Bagna caoda da bere e il Tonno di coniglio e giardiniera in agrodolce. Il menù degustazione costa 130 euro, ma è un po’ come aver fatto un week-end culturale.

Cannavacciuolo bistrot

Poteva essere l’ennesimo prêt-à-porter del cuoco stellato X, una delle tante aperture che negli ultimi anni, e nel 2018 specialmente, si sono fatte spazio nei centri cittadini per battere cassa laddove il fine dining ultra ambizioso, notoriamente, da solo non si regge.

E invece il bistrot torinese di Antonino Cannavacciuolo, due stelle al Villa Crespi di Orta San Giulio (NO), si è fatto valere fin da subito, aggiudicandosi una stella Michelin prima che qualcuno potesse dire “bah”, grazie alle capacità del cuoco Nicola Somma, che guida una formula dopotutto già rodata: il connubio Nord e Sud che è una certezza, se porta la firma di Antonino. Menù degustazione a 85 euro.

Al Gatto Nero

Se avete nostalgia della tagliata di manzo al pepe verde, sappiate che è ancora possibile mangiarla senza doversi imbattere in anonimi postriboli. Al Gatto Nero, storico ristorante gestito dalla famiglia Vanelli, certi sapori (rigorosamente piemontesi o toscani) sono resistiti, replicati in maniera netta tra mattoni a vista e mise en place eleganti, accompagnati da una carta vini magistrale.

Il caponet di faraona, le papardelle al ragout d’anatra al Barbaresco, la ribollita, il bonet al triplo cioccolato nero e lo zuccotto alla fiorentina: come dimenticarsi dell’esistenza delle mode, per qualche ora. C’è anche un menù degustazione, a 60 euro.

Edit Restaurant

L’oramai classico esempio virtuoso di riqualificazione ambientale, con EDIT si declina in un (bellissimo) spazio polifunzionale, che un annetto fa ha trasformato una zona industriale torinese in un punto di riferimento gastronomico.

Lì convivono la cucina vegetariana di Pietro Leemann, i lievitati di Renato Bosco, gli iconografici risotti in latta dei Costardi Bros, ma soprattutto un birrificio artigianale con tap room annessa, 19 vie attive con birre da tutta Italia (e oltre), una caffetteria lussureggiante e un cocktail bar tra i migliori della città.

La Limonaia

Fermentazioni, erbe aromatiche, intermistioni etniche a scopo puramente godereccio: la cucina di Cesare Grandi è tutto ciò che vi aspettate da un ristorante contemporaneo come si deve, annaffiata da vini “naturali”.

Un cortile fuori dal centro che sembra disegnato per un primo appuntamento e un grasso avvolgente che sostiene essenze e tecniche. Il menù degustazione “In Viaggio” (7 portate per 70 euro) è degno di una stella che, almeno al momento, non c’è; il menù alla carta in alternativa prevede qualche “starter”, tra le quali l’imperdibile “Panino al vapore, pancia di Mora romagnola, peperoncino fermentato”.

Gaudenzio vini e cucina

Il menù è una lista, nemmeno troppo lunga, di piatti battezzati con i nomi degli ingredienti, come “riso acquerello/topinambour/ricci di mare” o “diaframma/cipollotto/rubra”. Un grande classico ormai, direte voi, ma che da Gaudenzio, tutto sommato, assume una chiara intenzione: non svelare al cliente più di tanto, dandogli le informazioni essenziali per delineare il suo percorso.

E’ così soprattutto sui vini: vero punto di forza del locale di Stefano Petrillo, accompagnano una cucina (a vista) di crudi, interiora e sapori decisi all’insegna della sorpresa. Non c’è una carta, ma bottiglie che circolano tra i tavoli e si stappano all’occorrenza. Vi si chiede di cosa avete voglia e qualcosa vi arriverà, più o meno su quella linea, sicuramente sui generis. Bisogna farsi guidare, fidarsi, avere voglia di sperimentare. Spesa media, entro i 50 euro ci si diverte parecchio, specialmente se si è al banco.

Chiodi Latini

Antonio Chiodi Latini aborra il termine “vegano” quasi quanto un seguace della dieta paleolitica, ancor più che lui stesso ne è fautore e non vuole essere associato alle bistecche di seitan. La sua cucina “vegetale integrale” preferisce applicarla sulle variazioni di un ortaggio, sui contrasti, sui virtuosismi tecnici che una cipolla rende veramente tali.

A cena si mangia con una quarantina d’euro, mentre a pranzo c’è una formula ridotta (soprattuto nel prezzo), la stessa applicata alla nuova caffetteria di via Bertola, che da ottobre 2018 propone una pasticceria tutta barbabietola e cavolo nero che finché non la provate non crederete possa essere tanto buona. Accanto, lo Specialty Coffee, anch’esso senza insegne.

Piano 35

L’ambizioso progetto di portare il fine dining al trentacinquesimo pianto del grattacielo San Paolo ha accusato qualche colpo, nei anni recenti. Se non altro, ha comportato qualche cambio della guardia, fino alla guida di Marco Sacco, ex chef del bistellato Piccolo Lago di Verbania, che ha portato con sé il pesce di lago (la trota marmorata, soprattutto) per insediarsi nella città sabauda.

Le Vitel étonné

Osteria per definizione, “il Vitello” è un luogo di conforto nel cuore turistico di Torino, aperto nel 2001 da Luisa Pandolfi con un marchio e un nome ideanti nientepopodimeno che da Bob Noto.

Il piatto forte è il vitello tonnato, che ve lo diciamo a fare, così come i tajarin super rinforzati dall’uovo e tutti i piatti confortevoli della tradizione piemontese, nobilitati da Presidi Slow Food. Rincuorano flan, sformati, fondute e uova in crosta, spadellati dalla cucina a vista in una sala calda e accogliente. Più elegante l’ambiente sottostante, tra le 300 etichette che contribuiscono a rendere grande questo posto. 35 euro di spesa per mangiare, mentre il prezzo del vino è estremamente variabile: ce n’è per ogni situazione.

Osteria antiche sere

Non si può comprendere l’entusiasmo dato dal tomino elettrico (quello con il bagnetto verde, per intendersi) fino a che non lo si ha provato nell’antipasto misto piemontese, il formaggio fresco che fa il paciocco nel piatto con la bagna caoda scivolata dal peperone. L’Osteria antiche sere è il posto giusto per farlo, per provare quei piatti demodé che grazie al cielo qualcuno preserva nel tempo, carpione e panna cotta compresi.

Tovaglia bianca, sedie di legno, schiera di amari. Se spendete meno di 40 euro non avete mangiato il giusto.

Quadre ristorante enoteca

Sarà che il fuori menù è un piatto mensilmente dedicato a un romanzo, saranno le birre artigianali, che presentate in maniera tanto estemporanea fanno tanto radical chic, saranno le tante etichette curiose agli scaffali. Sta di fatto che da Quadre, enoteca più che ristorante, si respira cultura, oltreché relax.

Pochi piatti, tra ricette classiche riarrangiate con quel tocco in più e piatti sfiziosi, confortevoli.