Aiutati che bio t’aiuta ma impara a conoscere il sumo

Cosa ci aspettiamo quando spendiamo il 10-30% in più rispetto al corrispondente convenzionale  per comprare un prodotto biologico? Ci aspettiamo che quel prodotto sia privo di pesticidi e venga ottenuto senza l’uso di fertilizzanti sintetici, ci aspettiamo che dietro l’etichetta “biologico” ci siano agricoltori che rispettino scrupolosamente i criteri di quel tipo di agricoltura e un sistema di certificazione e controlli che lo garantisca in misura maggiore rispetto a un prodotto da agricoltura convenzionale.  Abbiamo in poche parole delle aspettative più alte che giustificano il prezzo più alto.

In Giappone il sumo non rappresenta soltanto lo sport nazionale, ma il depositum dello spirito religioso, storico e militare del paese. Attorno al sumo aleggia un’aura di santità difficilmente comprensibile per uno sport nel mondo occidentale. Si dice che l’obiettivo del sumo non sia la competizione ma l’onore. Per la maggior parte dei giapponesi l’idea che nel sumo si possa imbrogliare per perdere non è neppure contemplata. Nel sumo esiste un’elite composta da 36 lottatori: restare all’interno di questa casta significa guadagnare fino a dieci volte di più. Ogni anno si svolge un torneo in cui se non si vincono almeno otto incontri si viene cacciati dal club.

Analizzando i risultati di alcuni incontri decisivi in cui un lottatore già sicuro di non uscire si scontra con uno che ha sette vittorie e quindi deve vincere per restare tra i grandi, l’economista Steven D. Levitt nel suo (consigliatissimo)  libro Freakonomics, dimostra che esistono una serie di sconfitte sospette chiaramente riconducibili a combine tra i lottatori. L’analisi dei dati statistici fornisce spesso verità nascoste o che preferiremmo non conoscere.

Una divagazione, scusate, ma dov’eravamo? Certo, ai prodotti bio. Ecco, cosa succede quando andiamo ad analizzare i numeri del bio?

Un gruppo di ricercatori dell’ospedale “Luigi Sacco” di Milano ha raccolto tra il 2002 e il 2005 ben 3.508 campioni di vegetali analizzandone il contenuto in pesticidi. Tra questi campioni 266 erano da agricoltura biologica. La larghissima maggioranza dei campioni bio non conteneva tracce di pesticidi, che erano presenti in 7 casi (2,6%), in uno di questi con un livello al di sopra del limite massimo tollerato. Nello stesso periodo, i prodotti da agricoltura convenzionale che hanno mostrato residui di pesticidi sono stati circa il 27% ma anche in questo caso solo 2 campioni presentavano valori eccedenti il valore massimo consentito.

Non è chiaro a quali fattori sia dovuta la contaminazione dei prodotti biologici: contaminazione casuale da coltivazioni vicine, contaminazione durante il trasporto o pratiche illecite degli agricoltori. E’ importante sottolineare che anche acquistando prodotti biologici il rischio di ingerire pesticidi è superiore a zero.

Risultati molto simili sono stati ottenuti anche da ricercatori greci analizzando diversi campioni di olio di oliva. In 100 campioni di olio da agricoltura convenzionale solo il 10% non conteneva tracce di pesticidi mentre il restante 90% conteneva uno o più pesticidi ma comunque sotto il limite massimo imposto dalla legge. Per i 10 campioni di olio da agricoltura biologica, invece 6 non contenevano pesticidi, uno ne conteneva tracce e ben 3 contenevano quantità significative di pesticidi, comunque sempre al di sotto del limite massimo tollerato per la salute umana. In questo caso però i ricercatori affermano che il contenuto di pesticidi degli ultimi 3 campioni è tale da non essere compatibile con una contaminazione casuale. Tre agricoltori su 10 hanno fatto i furbi spacciando per biologiche olive che non lo sono. Cosa ha spinto questi agricoltori a questo comportamento scorretto?

Anche gli agricoltori che fanno biologico non sono dei benefattori e per loro esiste una possibilità di guadagno extra cui gli agricoltori convenzionali hanno rinunciato in partenza: vendere per biologico un prodotto che non lo è. Sono dunque gli agricoltori bio più disonesti? Io direi di no, ma semplicemente questo comportamento illecito viene percepito come un peccato veniale, e quindi psicologicamente più facile da accettare, visto che si usano comunque sostanze ammesse nell’agricoltura convenzionale.

Insomma per molti di noi è difficile pensare a una rapina in banca, ma è, forse, inutile ricordare la percentuale di evasione fiscale nel nostro paese o il numero di case costruite abusivamente. Potremmo dire che siamo tutti potenzialmente disonesti dipende da come viene percepita da noi stessi una determinata azione: per fare un esempio più vicino all’agricoltura una cosa è mettere il metanolo nella barbera, altra vendere il merlot per brunello.

I nostri condizionamenti culturali, a seconda del paese in cui viviamo, possono farci credere che i lottatori di sumo siano delle divinità o che i prodotti biologici siano sicuri al 100% , ma l’analisi dei numeri svela altre verità.

[Fonti: Freakonomics, Journal of Environmental Science and Health Part B, Food Chemistry. Immagine: JPGMag/Vinson Ilog]