Panettoni: pasticciere campano, come sei arrivato al Pan di Toni all”Happy Hippo?

A Napoli il panettone diventa trash. Come il pasticciere campano, grande interprete del dolce milanese, è arrivato al Pan di Toni all'Happy Hippo.

Panettoni: pasticciere campano, come sei arrivato al Pan di Toni all”Happy Hippo?

Perché, caro pasticciere campano, senti la necessità di fare il panettone al gusto Happy Hippo? La Nutella sul pandoro sappiamo spalmarcela da soli (questo non ditelo a chi cerca disperatamente i Nutella Biscuits). Cosa combini, con quei panettoni?

Di dolci natalizi napoletani abbiamo parlato abbastanza: vi ho portati praticamente per mano in ogni convento dove, tra un “pace sorella” ed un altro, vi siete ingozzati di paste reali, mostaccioli, vi siete spezzati i denti sui roccocò e avete imbevuto nel miele tutti gli struffoli di casa. Ebbene, di questi dolci tradizionali, spesso, esiste una variante farcita: struffoli alla Nutella, prima di tutto, già codificati in ricetta da qualche pure dalla Ferrero. Ma siamo così bravi a farcire tutto che diventa abbastanza complicato trovare un dolce nella sua forma “neutra”.

Siamo sempre in Campania, dopotutto: i dati riguardo l’obesità, in particolare l’obesità infantile ci dicono chiaramente che quest’ultima rappresenta un problema reale: siamo così tanto, ma così tanto ancorati alla confortevole narrazione della nonna e del suo fritto da giustificare combinazioni impazzite di cibi iperraffinati di bassa lega aggiunti a carboidrati in quantità?

Ma come, nella patria della Dieta Mediterranea? Come dicono i miei compaesani, Ancel Keys – il papà della dieta mediterranea, che la posizionò come “idale e fattibile” in Cilento – ce lo siamo messi ‘ind ‘a sacc, cioè ce lo dimentichiamo molte volte. Piramide alimentare un par di palle, insomma.

Anche se quest’affermazione può non piacerci, di certo ed innegabile c’è che sembriamo proprio incapaci di goderci qualcosa così com’è, è non è un revanscismo reazionario da sfogliatellara standard: lo dobbiamo squartare, riempire, farcire. L‘estetica del cibo americano si è letteralmente impossessata di una fetta dei clienti/consumatori campani.

Ma torniamo al Natale in chiave partenopea.

La vittima predestinata del Natale gastronomico napoletano (e per napoletano, intendo la Campania tutta), è sicuramente lui. Lui, al quale Dissapore dedica ogni anno risorse immani e glicemie altissime. Il panettone.

Suvvia: taceremo, tutti complici, sulla fetta di panettone/pandoro “sacrificata” il giorno 27 dicembre o 2 gennaio, sapientemente pucciata nel latte caldo con tanto di vostra-crema-di-nocciole-preferita, che tanto lo sappiamo che è Nutella.

Il Pan di Toni non è certamente un dolce tipico campano, ma c’è da dire che negli ultimi anni ce ne siamo un po’ “impossessati”, ottenendo risultati celoduristi di tutto rispetto. Il panettone campano, fino ad una trentina di anni fa, era un dolce casalingo, una sorta di ciambella dal sapore abbastanza neutro e “sciocco”, con l’ingrediente segreto che altro non è che un bicchierino di vermouth o rum, al massimo con una glassa di zucchero ed albumi e gli immancabili diavulilli, cioè zuccherini e confettini colorati. Una coccola comfort adatta a tutti i giorni delle feste, buono all’occasione da servire all’ospite così come da inzuppare nel latte.

Insomma, prima di “importarlo” del panettone sapevamo poco e niente, pur avendo nelle nostre pasticcerie tradizionali di sicuro focacce ricche sin dai tempi dell’antica Pompei.

Posso snocciolarvi a memoria la brigata di pasticcieri campani che ha operato, a partire ormai dagli anni Novanta e terminando quattro o cinque anni fa, la completa secessione dell’Italia dei panettoni: da poco sopra Napoli in giù, questo benedetto lievitato ci viene straordinariamente bene.

La ricetta di questo successo, osservata da lontano, è semplice: si va a bottega dai grandi maestri del lievitato, si torna giù, ci si applica qualche tecnica o memoria di famiglia, si prendono gustosi ingredienti local e li si trasforma in golosissima farcia, preziose gemme o profumi nuovi.

Così come siamo stati dannatamente bravi a renderlo buono e – se non il migliore – tra i migliori, abbiamo avuto anche la rara dote di renderlo dannatamente trash. Monumentali composizioni di pasta lievitata si sommano a snack, s’infarciscono di creme finto pistacchio, Nutelle varie, sormontati da corone di Happy Hippo, Kit Kat, Kinder Cards e… e…

E no, non è una puntata di Orrori da gustare.

Il Panettone con i Kit Kat, gli Happy Hippo e i Kinder Cards: come rimpiangere pandoro e Nutella

Dicevamo, quindi: l’estetica dei dolci americani ha letteralmente conquistato la Campania e, nel periodo natalizio, si riversa principalmente sui panettoni.

Fenomeni che si sviluppano particolarmente nella Divina Campania, questi del cosiddetto, bistrattato, vituperato foodporn: senza allontanarci troppo dal focus panettone, dobbiamo dire che da queste parti siamo particolarmente sensibili al fascino estetico del cibo super-farcito, super-condito, iper-calorico. E no, non sto parlando soltanto di parmigiane, gateau di patate e casatielli. Parlo proprio di lievitati super-complessi schiattati di robe conservate.

Il tema panettone si mostra particolarmente portato ad essere trasformato in questo senso: sono molte le bakery di chiarissima ispirazione americana che si laciano trasportare da farciture estreme e francamente di poco gusto, come queste. Non trovate irresistibile un lievitato dalle dimensioni generose, altrettanto generosamente farcito di crema e sormontato da pezzi di snack che rubacchiamo nei nostri scatti di fame alla macchinetta dell’ufficio?

Cosa spinge una pasticceria a prendere dei panettoni – accettabili, di buona fattura, mangiabili – per poi squartarli, riempirli fino all’inverosimile, cambiargli i connotati infilzandoli di coni come se fossero alle forche caudine?

Non ci andrò certa leggera parlando di invasione americana: E, sebbene altri dati ancora dicano che il nostro livello di scolarizzazione in lingua inglese è il più basso d’Europa, a livello di cibo gli americani ci hanno istruiti bene. Sarà un’alta visione dei programmi di Real Time, oppure un’altissima concentrazione di American Dream in Campania: li accogliemmo benissimo allo sbarco, dedicammo loro la Tammurriata Nera ed una fortunata unione ci diede James Senese.

E sì, sto vaneggiando sul panettone, ma non pensate che sul resto vada tanto meglio: qualche anno fa si strillava qualcosa qui su Dissapore riguardo la crisi della sfogliatella napoletana: crisi che, come poi sto indagando a furia di mal di stomaco, è proprio vera

Sebbene siano le bakery ad avere la parte del leone, non mancano anche pasticcieri tradizionali che, volenterosi di accontentare più che di educare diversamente la clientela, si adattano. E’ il caso della famiglia Bellavia, grande famiglia di pasticcieri napoletana, proprietaria di diversi punti vendita nella città. Oltre la sua classica offerta di buoni dolci, propone panettoni farciti, come il caso di questo alla Nutella. La foto qui sembra abbastanza innocua, vi invito a dare uno sguardo al video dedicato appositamente.

Va da sé che dietro ogni offerta, c’è una domanda che supporta: e la domanda c’è, almeno da quello che traspare dai loro mezzi social. Ma chi li compra, quindi? Il target sembra assolutamente trasversale: famiglie con bambini e giovani ingordi in primis, c’è un mercato parallelo al panettone classico molto prolifico e che sembra nient’affatto demordere.

Arrivederci a Pasqua, per le uova di cioccolato ripiene.