Dongiò a Milano, recensione: trattoria calabrese da provare e conto da “pezzenti”

Recensione della trattoria calabrese Dongiò di Milano, ristorante regionale imperdibile per la cucina tipica e il giusto prezzo. Le nostre opinioni.

Dongiò a Milano, recensione: trattoria calabrese da provare e conto da “pezzenti”

Non sarà Lambrooklyn o Nolo, e nemmeno la Baggio di Ghali, ma anche in zona Porta Romana a Milano, tra una trattoria 2.0 e un innesto nippo-carioca-[aggiungi random], vale la pena provare le insegne meno patinate e decisamente meno esotiche. Ad esempio quella di Dongiò, spaghettoni alla pezzente compresi.

Dongiò, da fuori, non è particolarmente attraente o ammiccante, quasi si mimetizza nella miriade di locali della zona, ma decisamente merita e lo capirete al primo sguardo del menu, in tutta la sua calabrese schiettezza. Entrando, il colpo d’occhio è quello di una vecchia osteria milanese, di quelle che pur svecchiandosi hanno saputo mantenere l’antico fascino da “locanda perlinata con menu fisso”. È proprio qui che, solitamente, dietro l’angolo ti aspetta la mazzata del conto tra capo e collo. Stavolta invece c’è solo il capocollo e un conto molto più che onesto, anzi decisamente ideale per rapporto qualità-prezzo. Alle pareti, una sfilata di documenti storici dell’epoca del Regno delle due Sicilie, nel menu tutti i sapori più tradizionali della cucina calabrese autentica. È il festival della ‘nduja, del caciocavallo e soprattutto della pasta (anche fatta in casa), protagonista assoluta della carta, e a ragione.Dongiò a Milano; trattoria calabreseDongiò a Milano; trattoria calabrese

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Una deriva ossessivo-compulsiva di lunga data obbliga una delle mie compagne di cena a ordinare sempre e comunque la parmigiana di melanzane, quando la si trovi in carta. E che anche se il menu la colloca tra i secondi, noi la condividiamo tra gli antipasti. In versione quasi bianca, con giusto la dose sufficiente di pomodoro per non farla apparire anemica, è ottima. Con sua maestà la melanzana, arrivano anche le bruschette con ‘nduja (se no che esperienza calabra sarebbe?), semplici, schiette (ma non eccessivamente piccanti) e su pane casereccio. Ci sono anche le polpette di cicoria con crema di fave, buone e che consiglio di assaggiare rigorosamente in coppia, dato che da sole potrebbero risultare un pochino asciutte. Infine, giusto per non farsi mancare niente e farsi un giro anche nella sezione dei contorni, la cicoria saltata con aglio, olio e peperoncino. Non male, anche se personalmente preferisco la versione romana, quella quasi croccante.
A Milano sono serate calde, noi siamo in quattro e non certo definibili astemie, insomma alla fine degli antipasti se n’è già andata una bottiglia di bianco di Calabria. Se ne andrà anche un’altra senza colpo ferire, ma stavolta accompagnata da due portate di pasta e due secondi.

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“Pasta fresca da grani antichi Senatore Cappelli”, recita il menu, e ogni singolo sugo in accompagnamento ha qualcosa di intrigante, pur restando nell’ambito comfort di ingredienti semplici.

Io opto per gli spaghettoni del pezzente, che insieme a quelli del “tamarro” e del “cafoncello” trasformano la carta in una sfilata di macchiette burine. Di poco elegante, invece, non c’è nulla in sala: servizio cortese, semplice ma presente il giusto. Piatti serviti senza fronzoli o ammiccamenti instagrammabili, ma proprio come quelli della nonna al pranzo della domenica.
Tornando agli spaghettoni del pezzente (con salsiccia fresca, fave, cipolla ed erbe aromatiche), sono letteralmente una meraviglia. L’intreccio degli ingredienti funziona e la cipolla (quasi una crema) amalgama il tutto perfettamente.
Il test su “Il Senatore calabro”, spaghetti con crema di pomodori secchi, cipolla di Tropea, speck e pepe nero, non fa testo: ti distrai il tempo di un lockdown e ti ritrovi un’amica vegetariana che li ordina epurati dallo speck. Il risultato è che, nel complesso, al piatto manca una certa spinta: colpa nostra che ci prendiamo la libertà di togliere ingredienti ai piatti, cosa sempre sconsigliabile.

Buone invece le polpette di carne, servite con la giusta dose di sugo per chi ama fare la sacrosanta scarpetta, e anche i bocconcini di pollo all’aragonese saltati con melanzane, cipolla, capperi, ricotta stagionata e poco peperoncino (il “poco” è citazione letterale dal menu, di cui ci si può fidare, senza paura di venire assassinati da dosi di capsaicina non dichiarate). Come detto, alla fine se n’è andata anche la seconda bottiglia di vino, la classica goccia che normalmente farebbe lievitare il conto. Invece no.

Spendiamo, in quattro, 122,50 euro (arrotondate a 120) e non ci par vero: 30 eurini a testa per una cena di questa portata sono cosa assai rara a Milano. Un rapporto qualità/prezzo che dovrebbe fare invidia a molti e che ti lascia la voglia di tornarci, da Dongiò. E anche presto.

Dongiò a Milano; trattoria calabrese

Informazioni

Dongiò

Indirizzo: Via Bernardino Corio, 3, Milano

Numero di telefono: 02 5511372

Orari: aperto tutti i giorni a pranzo e a cena; chiuso la domenica

Sito web: dongio.it

Voto: 4/5