Cocktail: i trend della mixology del 2021 (che non sono dei veri trend)

Al netto del Covid, la mixology del 2021 ha i suoi trend, tra sostenibilità, ritorno al passato, cocktail a bassa gradazione alcolica e tendenze prestate dal fine dining.

Cocktail: i trend della mixology del 2021 (che non sono dei veri trend)

Se c’è stata una categoria tra quelle ristorative ad aver davvero sofferto le sferzate della pandemia, è quella dei cocktail bar (e dei pub, ovviamente, dei quali non ci occuperemo oggi): a causa del coprifuoco sono stati forzati a una chiusura violenta, che in molti casi si è prolungata anche nelle aperture intermittenti. Chi non ha voluto, saputo o potuto ridefinire la propria formula con il delivery, oppure con la proposta gastronomica a fare da supporto, non ha lavorato per un’infinità di mesi. E ora che i locali sono riaperti, come stanno le cose? Parlare di nuovi trend della mixology ha senso?

Per dirla senza mezzi termini, probabilmente no: non c’era pubblico e non c’era occasione per scoprire, condividere e lanciare nuove iniziative. Ma soprattutto c’erano altre priorità: far quadrare le spese, mantenere un contatto con i clienti, gestire il personale. Ad oggi, nell’Autunno 2021, ci ritroviamo a fare i conti con uno scenario ancora difficile da definire, spaccato tra la voglia di ripartenza, la ricerca di rassicurazioni e la prudenza verso il futuro. Bisognerà attendere ancora per capire quali saranno i prossimi sviluppi.

Una delle migliori occasioni in Italia, se non praticamente l’unica, per rimettersi in gioco e sperimentare, è stata la Florence Cocktail Week, svoltasi a Firenze dal 20 al 27 Settembre. Fare un evento di questi tempi è un’impresa molto più complessa di quanto sembri: è la scommessa di Paola Mencarelli, organizzatrice e creatrice di questo format per l’Italia, che approderà a breve anche a Venezia per la prima con la Venice Cocktail Week, dal 13 al 19 Dicembre.

“Il mondo si è fermato, quindi più che parlare di trend e di novità nella mixology, possiamo osservare quali tendenze si siano maggiormente consolidate, alcune delle quali erano visibili anche prima della pandemia” commenta Paola Mencarelli.

Le produzioni locali

Negroni

“Ce ne sarebbero molte da citare: per i prodotti sicuramente le produzioni locali, così tante da perdere anche il conto. In particolare di Gin, Vermouth e Bitter, realizzate localmente con ingredienti territoriali, un fenomeno che si osserva a livello internazionale e che in alcuni contesti, come Londra, esiste da sempre”. Pensiamo al gin con le botaniche di Capri, oppure quello con il radicchio di Treviso, quello con la salicornia dell’Isola di Sant’Erasmo, per citarne due più prossime alla Venice Cocktail Week.

La mixology d’albergo

Aman VeniceFoto di Aman Venice

“Per quanto riguarda le abitudini, direi che la miscelazione d’hotel, che aveva cominciato ad affermarsi in Italia negli ultimi anni, ha ripreso a dialogare con un pubblico sempre più ampio” e questo continua ad accadere, nonostante la chiusura degli hotel nel periodo pandemico. “Da parte dei bar e degli hotel che fanno capo a grandi gruppi, c’è stata la voglia e la spinta ad aprirsi. Prima il bar veniva considerato, almeno in Italia, un servizio per gli ospiti. Addirittura, molti di loro non avevano nemmeno un nome! Un esempio eccellente è proprio l’Aman Venice, che apre sempre più le sue porte ai clienti esterni e ai veneziani attraverso The Bar, facendosi tra l’altro promotore di una manifestazione come Venice Cocktail Week”.

I cocktail classici sono tornati per restare

Manhattan cocktail

Anche Walter Bonaventura, bartender multidisciplinare ed esperto di storia della miscelazione (ha pubblicato per Guido Tommasi Editore il libro “Old Fashioned Cocktails” insieme a Maria Teresa di Marco) fa il punto su quel che è rimasto in piedi dopo gli ultimi due anni.

A partire dai classici. “È innegabile: la rinascita dei primi anni 2000 negli Stati Uniti (circa dieci anni dopo qui da noi) parte proprio grazie alla riscoperta dei classici e dei classici dimenticati, con libri seminali come Vintage Spirits and Forgotten Cocktails, oppure Joy of Mixology, Imbibe e il lavoro di bartender del calibro di Gary Regan, Dale DeGroff, Sasha Petraske, Jim Mehaan e molti altri. Da allora l’interesse per i classici continua a rimanere alto da parte di clienti e bartender. Per i primi sono l’approdo sicuro in un porto conosciuto nel grande mare della moderna mixology; per i secondi e soprattutto per gli aspiranti bartender, la conoscenza dei classici è ormai prerogativa irrinunciabile. Il classico è come un mito: un plot su cui ricamare infinite variazioni, e in quanto tale una palestra dove allenare e affinare la propria capacità di trovare il bilanciamento perfetto, l’essenza del bere miscelato”.

Tecnica da fine dining

Fine cocktail

Un altro movimento, segnalato da Bonaventura, va nella direzione tutta opposta dell’avanguardia. “Rotavapor, spinzall, sonicatore, omogeneizzatore, chiarificazioni, ridistillazioni, tinture, riduzioni, fat-washing, foam, fermentazioni: c’è un’agguerrita avanguardia di bartender, veri e propri geek della mixolgy, che ha deciso di fare della ricerca e della tecnica la sua missione. Nel backoffice dei loro bar troviamo veri laboratori con attrezzature prese in prestito a quelli di analisi, dove si sperimenta su sapori, tecniche, procedure. Da qui si creano drink talvolta incredibili, che sanno esplorare nuove frontiere, un po’ come accade nell’alta ristorazione. Sicuramente una nicchia, non per tutti. Quindi un consiglio: attenzione al dilettantismo, serve tantissimo studio e non bisogna perdere di vista il focus. Non è solo il drink, ma l’ospitalità a 360°”.

Filiera corta, stagionalità, sostenibilità

Cocktail sostenibile

E ancora, l’importanza, anche nel mondo del bar, della filiera corta, la stagionalità, la sostenibilità. “Via le cannucce, riutilizzo degli scarti, prodotti locali, foraging, produttori artigianali: il tema non è importante, è vitale e dannatamente complesso! Per capirci, siamo sicuri di poter parlare di cocktail sostenibili perché fatti con prodotti locali, riutilizzando “scarti”, distillati homemade, cannucce di carta, per poi lavorare con lavabicchieri-macchine del ghiaccio-frigoriferi-condizionatori non di ultima generazione che consumano quanto un condominio? O con lavoratori mal pagati in ambienti malsani e poco sicuri? Insomma, un trend imprescindibile, che richiede, oltre a un approccio multidisciplinare, molta cultura e progettualità”.

Mixology low alcol o alcol free

Healty Cocktail

 

In un filone simile, ormai ampiamente consolidato, si pone la mixology low alcol o alcol free. “É  un fenomeno che apprezzo molto e credo riserverà parecchie sorprese. Secondo stime dell’OMS più della metà della popolazione mondiale non consuma alcol. Nella restante parte, soprattutto tra le nuove generazioni, troviamo sempre più persone attente alla salute e ai prodotti healthy, che preferiscono drink con basso contenuto alcolico o analcolici. Di qui la grande sfida per noi bartender e per i produttori: perché non trasformare questa scelta in positivo, anziché vederla come una rinuncia? Se per qualsiasi motivo un cliente sceglie di non bere alcol – che sia per salute, religione, sport, indisposizione temporanea, lavoro – perché deve essere trattato come uno sfigato? Guardando i numeri, è chiaro perché può aprirsi un nuovo target di clientela e perché la produzione di analcolici è esplosa anche tra i grandi brand internazionali”.

Artigianalità

Bitter

E infine, oltre ad altre voci importanti come il minimalismo, il delivery e i cocktail in bottiglia, il mondo dell’artigianalità, che richiama le produzioni locali di cui sopra: “Chi ha iniziato questo lavoro una ventina di anni fa ricorda le bottigliere con una limitata scelta: qualche gin, qualche scotch, pochissimi american whiskey, vodka, una manciata di amari-bitter-vermouth, etichette spesso prodotte da grandi industrie internazionali e reperibili in qualsiasi supermercato. La rinascita della mixology ha portato con sé un ampliamento incredibile dell’offerta, con una vasta scelta di prodotti artigianali: parliamo ormai di migliaia di etichette che il mercato offre. All’interno di questa grande offerta, si consolida una nicchia significativa: quella dei prodotti premium e superpremium, soprattutto distillati ma anche liquori, un tempo prerogativa dei bar d’hotel più lussuosi, ora sempre più diffusi anche nei moderni cocktail bar, sia per il consumo in purezza, sia per una miscelazione di fascia molto alta”.