Cose che tutti mangiano e cucinano allegramente tranne me

Il tema è: cose che tutti mangiano e cucinano allegramente tranne me. In pratica una lista divisa per categorie di antipatie, incompatibilità e ripugnanze per le cose che mangiamo e cuciniamo

Cose che tutti mangiano e cucinano allegramente tranne me

Il tema che mi hanno assegnato per il post di oggi è: pietanze e preparazioni generalmente apprezzate che personalmente ti esaltano come il redditometro. Versione 2016

Per lo svolgimento ho pensato di tracciare una lista (per categorie) sulle mie antipatie, incompatibilità e ripugnanze per le cose che mangiamo e cuciniamo. Quelle cose, in altre parole, che amo nella loro nuda essenza quanto triturarmi un braccio nel robot da cucina.

Incasserò il vostro sostegno? Mi maltratterete per questi disgusti nel piatto e ai fornelli? Attendo fiduciosa il verdetto, nel frattempo distraetemi raccontando cosa, tra ingredienti e ricette, sembra piacere a tutti tranne a voi.

(Idee veloci: il sushi è fottutamente sopravvalutato! E il prosecco ha qualcosa da dire una volta su cento).

Cibi salutisti

minestrone

Mangiare

Cavoli e derivati, ma soprattuto il cavolfiore: Non lo posso vedere, odorare e mi irrita anche comprarlo. Se lo mangio, nell’ipotesi migliore lo deglutisco in stile antibiotico. In quella peggiore abbandono il consesso domestico. Non c’è modo di sublimarlo (besciamella? Anche no). Ok è anti-cancerogeno lo so, ma è una vita triste quella dell’anti-ossidazione e l’abuso di sto robo bianco sono certo che causi perdite olfattive inaccettabili.

Fegato: Faceva bene nel vecchio paradigma salutista (ora decisamente non più) ma ne devo parlare come catarsi! Me lo sono beccato in tutte le salse, ma non c’è niente da fare, perfino nella coratella mi ricordava sempre il copertone della Bmx. E quando mi è stato infilato a tradimento un crostino toscano in bocca a 13 anni non ho reagito bene.

Minestrone: Ah che dolce carezza per lo stomaco. Che equilibratore intestinale. Sì, ok mangiatevelo voi che io muoro (cit.)

Cucinare

Purè in busta: “Sembra talco ma non è, serve a dare l’allegria!”. Le suggestioni pubblicitarie sono inutili, più che allegria è una tristezza infinita. Non servono immagini suggestive e confezioni patinate, neanche aiutarsi con (plasticosi) dadini di prosciutto può farmi cambiare idea sul puré di patate liofilizzato, MAI. Per non parlare di “rotolo della gioia“, che già basta Benedetta Parodi, figurarsi i suoi svolazzi lessicali.

Pisellini in scatola: Non sono capitolata prima, quando universitaria fuori sede con risibile budget mensile cenavo a base di toast e caffelatte o patatine e gingerino, figurarsi ora: mai cucinate verdure in scatola. Non mi tange la praticità del legume precotto, del fagiolino molle, dello spinacio aggrovigliato, piuttosto pane e cipolla.

La tradizione che non scalda

baccalà mantecato

Mangiare

Polenta: Scusate milanesi, ma da sola è anonima come un match di Murray. Nella variante taragna o con il pentolone di sugo di salsicce e spuntature alla romana raggiunge vette importanti, ma così non vale e l’esegeta lombardo ne celebrerà sempre la sua grazia in singolar tenzone.

Pastiera: Sostanzialmente mangio tutto (eccetto il cocco) e mi chiamano squalo, ma la pastiera, sono incorreggibile lo so, mi fa ribrezzo. Sarà per i maledetti canditi e il grano cotto ma ha una consistenza che mi ripugna. Spazietto per il dolce suck, ripassatemi il casatiello.

Cucinare

Baccalà: Alla veneziana, alla vicentina (inchino alla sacra confraternita), alla livornese, fritto in tempura o mantecato è una delizia sublime, ma avete una remota idea di cosa significa cucinarlo a casa? No? Allora ve lo spiego: baccalà e stoccafisso vanno in ammollo per un periodo variabile tra le 24 ore e un tempo x, durante il quale la casa profuma come un pozzetto intanto che viene scaricato, e se malauguratamente provate a metterlo fuori, nel vostro bel porticato, preparatevi a contendere il piatto con la comunità felina tutta. Non c’è appello, il baccalà si prende al ristorante o al massimo in pescheria, già bello e ammollato.

Trippa: Se rifiuto l’idea di cucinare l’organo per cui passano i pensieri, di affrontare l’apparato dove scorre qualcos’altro non se ne parla nemmeno. Alzo le mani anche sulla trippa e, per emergenze tipo “cara, avrei una gran voglia di trippa” esistono le suocere, non dimentichiamolo.

La goduria che non mi arriva

panna montata

Mangiare

Panna montata: Per me la più insulsa del discount e quella più artigianale del mondo hanno in comune la totale indifferenza alla sua fruizione. Sono migliorata: fino a un paio di lustri fa proprio non potevo ingerirla.

Cucinare

Mars fritto: Per quanto ti trovi simpatica, sexy e carismatica, cara (ex) giunonica Nigella Lawson, domestic Goddess e sogno proibito per stuoli di mangiatori, non mi convincerò mai, nemmeno sotto ipnosi, a impanare e friggere una barretta di cioccolato ripiena di malto, caramello e solo Dio sa cos’altro. Manco la curiosità. Ma manco di striscio.

Pasta di zucchero: Il coma glicemico indotto dalla lista degli ingredienti farebbe corrugare anche la pelle del viso immobile di Berlusconi. Eppure impazza tra i deliranti fan del cake design, in tivu a tutte le ore, nelle vetrine delle pasticcerie: pasta di zucchero non mi avrai, né forgiata a ninfea, né adorabilmente plasmata a topolino. Io non manderò mai in pre-pensionamento la cara, vecchia, demodé pasta di mandorle.