Manuale di sopravvivenza per ristoranti che ridefiniscono il concetto di pupù

Per le ragioni che sapete oggi dicono tutti iPhone e iPad. Ma non vale, è come dire ho la compilescion e non i dischi originali (nonsò, il Macintosh). Però capisco, del resto, venendo a noi, non si può sempre mangiare nel ristorante archetipo. Quando per qualsivoglia motivo il nostro modello di locale non è disponibile, e il posto che ci è toccato in sorte ha tutta l’aria di ridefinire il concetto di pupù, gli esperti dicono di pensare come Tremonti [inserire qui il nome del vostro economista di riferimento]. Siccome il lavoro costa — e che in un posto del genere si sciali per fior di professionisti è piuttosto improbabile, chiedete piatti con pochi ingredienti che non richiedono preparazioni complesse.

Sconsigliate le uova, spesso cotte male e allo sfinimento e quindi asciutte o insapori.

Va meglio con i piatti che richiedono una cottura tipo quelli in umido perché possono restare sui fornelli per l’eternità e sapere ancora di buono. Gli interventi del cuoco non fanno più male di tanto e si spera sempre in una buona dose di spezie.

Le costate, di solito cucinate meccanicamente e con ridotte possibilità di errore umano, resistono a lungo al fuoco basso e conservano un sapore migliore dell’aspetto.

Tra spaghetti e lasagne non c’è storia, bisogna puntare sull’umidità della salsa. Che negli spaghi viene aggiunta a posteriori, così per quanto secca la pasta un po’ rinviene.

Potreste tornare salvi, sani nonsò, optando per sformati o fondute, e in genere per i piatti dominati dal formaggio che resiste a lungo in frigo (magari meglio se protetto da un involucro di plastica) senza diventare irriconoscibile. Difficile poi che per quanto sfigato, un cuoco riesca a rovinarlo del tutto.

Devo dirvi che difficilmete arriverete alla figliata plurima ordinando pesce crudo?

Conviene puntare sull’amor proprio dello chef. Parlategli direttamente se ci riuscite. Dimostrategli che siete interessati. Se avete la ventura di capitare in un ristorante cinese che non ha bisogno di comunicare l’orario d’apertura dei cancelli, diciamo così, per giunta pure decentrato, cercate il cucoco e inteneritelo con discorsi tipo “non si può avere qualcosa che cucineresti per i tuoi bambini?” Forse, chissà, potrebbe trovare in voi l’estimatore che manca nel suo patron.

Qualcuno mi sa dire se si sente sollevato da questi consigli? Vi siete mai trovati in situazioni simili? Stavate già in scimmia dopo la prima sillaba del camerire? Di cosa si compone il vostro personale manuale di sopravvivenza in questi casi?

[Crediti | Link: New York Times, immagine: Stockphoto]