Se dite com’è triste Venezia non avete mai provato un ristorante col coupon di Groupon

Confesso davanti a Bernardi l’editore, e a voi compagni di forchetta, che ho molto peccato: l’ho fatto mangiando al ristorante con un buono Groupon. Sapevo di non comprare la cena della vita col comodo coupon ma almeno un po’ di tepore. I fatti: mesi addietro ho aderito a un deal per carnivori: antipasto della casa, tagliata di carne (“da poter riprendere più volte”), acqua, un bicchiere di vino e caffè per 4 persone, tutto al prezzo di 49 Euro.

Il fatto è che Groupon fa uno spam spiritoso, scritto bene. Come si dice qui: “Il Manuale di Stile della casa andrebbe benissimo come manuale per scrittori post moderni”.

Così mi allontano lungo la Cristoforo Colombo e raggiungo speranzosa “Le Bontà di Luigi“.

Ho un parcheggio tutto mio ma sono nel nulla della piana verso il mare, sfido a non trovare posto. Entriamo in leggero ritardo, a dispetto del nome quelli di Luigi non sembrano buonissimi, ricompensano il nostro viaggio con un cenno del capo svogliato. Dal cenno in poi a malapena ci rivolgeranno parola.

In veranda nessuna possibilità, c’è posto ma siamo couponisti per noi solo zone sfortunate. La parete della sala interna, dal tovagliato in simil tessuto, è quasi interamente ricoperta dalle bottiglie di una cantina laziale, quella che non piace a Nossiter, se siete fan del giornalista sommelier americano. Cestino di pane, acqua, una brocca di vino rosso e arrivano gli antipasti: 4 spicchietti di formaggio dal sapore vago con marmellata di qualcosa, verza e salsiccia annegate nell’olio, pallette fritte e fredde, un tagliere con sfoglie di salame e prosciutto. Si prova a mangiare.

Dopo 10 minuti, nel mutismo generale, il giovane cameriere dai gesti precisi fa atterrare sul tavolo 4 piatti con strisce di carne grassa condita con molto olio e poco sale. Variazioni proposte: rughetta e pomodorino, glassa di aceto balsamico, patate semi abbrustolite e cannellini in scatola. Piatti freddi in quantità contenuta, carne tenace e bruciacchiata. Nel frattempo, il pane latita e il vino scuro e aspro rimane nei bicchieri a far folklore.

Ci portano via i piatti dopo che abbiamo finito da una mezz’ora abbontante. Per giunta, in sottofondo c’è qualche radio da ragazzi al tempo del Topexan, non ne sono sicura ma potrei aver orecchiato Biagio Antonacci, e OVVIAMENTE mi sento tanto triste.

Tentano di sollevarmi il morale ordinando un altro giro, la quantità di carne cala ancora e il cameriere si tiene lontano. Non solo da noi però, anche nei tavoli privilegiati si sparecchia e via. Per il terzo giro spero non ci rovescino addosso i piatti. Il pane arriva praticamente con il caffè.

Ordiniamo un paio di dessert per addolcire il palato e i padroni di casa. Resterà nel piatto assieme alla voglia di riprovare le bontà di Luigi. Ci presentano la ricevuta, saldiamo la differenza e usciamo.

Sarà banale ma penso alla poca accortezza del ristoratore che aderisce al deal: che vantaggi ha? Boh, sarà la crisi. Anche la mia, che ho passato la notte in bianco. Colpa della glassa all’aceto balsamico?