Agricoltura: la start-up di pomodori contro il caporalato

C’è un’agricoltura che non si arrende al caporolato e lo combatte attraverso i lavoratori immigrati, impiegati nella start-up di pomodori emiliana.

Agricoltura: la start-up di pomodori contro il caporalato

La bolognese Goodland è la start-up di pomodori che si batte contro il caporalato nelle campagne italiane. Il progetto vuole smembrare la filiera dello sfruttamento attraverso semplicemente il lavoro. Quello onesto, legale. Quello non da 2 euro all’ora.

L’azienda emiliana collabora con “No Cap”, un’associazione no profit che aborre l’uso di manodopera sottopagata o schiavizzata e promuove un’agricoltura che rispetti l’ambiente. Da parte sua, Goodland si impegna a sviluppare ricerca scientifica e attività di rete fra privati, istituzioni, organizzazioni sociali e a promuovere prodotti e servizi innovativi mirati alla salute dell’uomo.

Il pomodoro No cap è coltivato in Puglia, in aziende agricole di Rignano Garganico (Fg), grazie al lavoro di agricoltori e trasformatori, lavoratori immigrati che vivono nei ghetti, istituzioni locali e regionali e gruppi della distribuzione.

Ma a che punto è la situazione a 3 anni dalla legge 199? Il numero dei lavoratori in “nero” in Italia aumenta, mentre diminuiscono le risorse per contrastare il fenomeno. Le nuove unità operative messe a disposizione dall’Ispettorato nazionale del lavoro, tra l’altro, non saranno attive prima del 2021. Secondo il Rapporto Agromafie e Caporalato – Osservatorio Placido Rizzotto Cgil, 2018, i lavoratori a rischio di ingaggio illecito e sotto caporale sono tra i 400mila e i 430 mila.

Fonte: Ansa; Altraeconomia