La Sicilia come l’America Latina. Perché se c’è un risvolto dolceamaro del cambiamento climatico, è che alcuni territori diventano sempre più adatti a frutti tipici di tutt’altra parte del mondo. Succede in Trinacria, dove le temperature sempre più alte rendono la terra insulare fertile per coltivazioni tradizionalmente tropicali. Lo scenario ortofrutticolo ha aggiunto in menu già da tempo prodotti come il mango e l’avocado, ormai alberi comuni nel panorama siciliano, ma anche – seppure in minor misura – il caffè, di cui un egregio esempio è quello della piantagione di Morettino in quel di Palermo. Neanche le banane sono estranee a questo scenario dal sapore sudamericano; a ufficializzare in Sicilia l’ingresso su più ampia scala della bacca giallo è Chiquita, che sceglie Marina di Ragusa per la sua prima coltivazione tutta italiana.
Le banane Chiquita in Sicilia
La Cavendish, la varietà più diffusa di banana, fa il suo ingresso trionfale in Sicilia. A onor del vero, di coltivazioni di banana sull’isola ne esistevano già, portate avanti da aziende ortofrutticole di più piccole dimensioni.
Lo sbarco di Chiquita in terra sicula segna però un passaggio non da poco per l’agricoltura della regione più grande d’Italia, perché ci dice che anche le multinazionali si sono accorte del potenziale drammaticamente positivo nascosto nella negatività dei cambiamenti climatici.
Il clima siciliano è infatti sempre più favorevole ad accogliere frutti tradizionalmente legati ad aree geografiche diverse, come l’America Latina, e il colosso della bacca gialla con sede in Florida ne approfitta avviando già da questo ottobre la prima fase della messa a dimora di 20.000 piante biologiche.
Lo sfondo è quello di Marina di Ragusa, dove la multinazionale collaborerà con la locale cooperativa agricola Alba Bio, dedita al biologico. Le prime banane italiane col bollino blu dovrebbero essere pronte da mangiare e immesse sul mercato dal 2026.
Di positivo, senza dubbio, c’è la drastica riduzione dell’inquinamento dettata solitamente dal trasporto oltreoceanico della bacca; anche la banana, insomma, è candidata al chilometro zero, ma non mancano del tutto i timori.
Il gigante statunitense delle banane arriva infatti in Italia con un bagaglio non leggero: quello delle passate accuse di greenwashing, inquinamento ambientale e finanziamento di gruppi paramilitari, oltre ai tumultuosi trascorsi – alcuni abbastanza recenti – con i suoi dipendenti.
Se finora le banane siciliane erano state appannaggio di pochi e piccoli produttori locali, ci si augura che l’ingresso di un pezzo grosso come questo non alteri in peggio l’equilibrio ambientale e umano.