Dieta vegetariana: un nuovo studio sostiene che ci farebbe risparmiare 16 anni di CO2

Secondo un recente studio pubblicato su Nature, una dieta vegetariana può liberarci di 16 anni di CO2 entro il 2050, per via della diminuzione di allevamenti che comporterebbero un costo esteso di terreni e anidride carbonica.

Dieta vegetariana: un nuovo studio sostiene che ci farebbe risparmiare 16 anni di CO2

Una dieta vegetariana potrebbe non essere più una scelta di gusti, ma una scelta per il Pianeta: secondo quanto ha affermato in un nuovo studio pubblicato su Nature, ridurre la quantità di alimenti di origine animale, potrebbe liberarci di 16 anni di CO2 entro il 2050.

La ricerca è stata pubblicata su Nature Sustainability, che fa parte del rinomato gruppo di riviste scientifiche della Nature, forse la rivista scientifica in assoluto di maggior prestigio nell’ambito della comunità scientifica internazionale. Un gruppo di ricercatori statunitense ha stimato in questa ricerca l’impronta di carbonio della produzione di carne e latticini: “Cambiare le nostre abitudini alimentari potrebbe consentire il ripristino degli ecosistemi naturali, contribuendo a compensare le emissioni di anidride carbonica”.

Nello studio, i ricercatori hanno mappato le aree del Pianeta in cui l’uomo ha raso al suolo la vegetazione autoctona per prediligere l’uso del terreno per la produzione di carne. “Il più grande potenziale per la ricrescita delle foreste e i benefici climatici che questa comporta sussistono nei Paesi ad alto e medio reddito” – spiega l’autore principale della ricerca, Matthew N. Hayek, professore assistente del Dipartimento degli Studi Ambientali della New York University –  “Questi sono anche i luoghi dove se si ridimensionasse la produzione di carne e latticini, avrebbe un impatto sicuramente minore sulla sicurezza alimentare”.

Attualmente, l’uso esteso dei terreni agricoli per soddisfare la richiesta di carne e latticini comporta un costo in termini di anidride carbonica”-  spiegano gli studiosi nel lavoro pubblicato sulla rivista Nature Sustainability, stimando che l’83% del terreno agricolo mondiale è destinato alla produzione di carne e derivati. “Ridurre questa cifra – afferma il team – è il modo migliore per contrastare il cambiamento climatico, compresa la siccità e l’innalzamento del livello del mare”.

Nel nostro lavoro – continua l’esperto – abbiamo mappato solo le aree in cui i semi potrebbero disperdersi naturalmente, crescendo e moltiplicandosi in foreste fitte e ricche di biodiversità e i nostri risultati hanno rivelato oltre 7 milioni di chilometri quadrati in cui queste potrebbero ricrescere e prosperare in modo naturale, vale a dire un’area che complessivamente avrebbe le dimensioni della Russia”.

I ricercatori hanno specificato che, se la domanda di carne venisse drasticamente ridotta, la ricrescita della vegetazione contribuirebbe a smaltire dai 9 ai 16 anni di emissioni di CO2 entro la metà del secolo. Ciò raddoppierebbe il cosiddetto “bilancio di carbonio” del Pianeta, ovvero quella quantità di emissioni di combustibili fossili che possiamo permetterci di immettere nell’ambiente prima di raggiungere un aumento della temperatura di 1,5 °C sopra i livelli preindustriali.

L’uso del suolo – concludono gli studiosi – è una questione di compromessi. Sebbene il potenziale per ripristinare gli ecosistemi sia notevole, l’allevamento estensivo rappresenta una risorsa culturalmente ed economicamente importante in molte regioni del mondo. Le nostre scoperte possono in ogni caso aiutare ad individuare i luoghi in cui il ripristino degli ecosistemi e l’arresto della deforestazione in corso avrebbero i maggiori benefici”.

[ Fonte: Nature ]