Prendete un mappamondo, giratelo fino a un punto a caso e vedrete che, ovunque finirà il vostro dito, per molti versi si ripeterà comunque la stessa storia. Insomma, tutto il mondo è paese, e questo vale anche per il lavoro svolto, il più delle volte in nero, da immigranti irregolari. Lavoro che riguarda spesso e volentieri il settore alimentare e gastronomico, in Italia come negli Stati Uniti. Ed è proprio in quest’ultimo Paese che le leggi anti-immigrazione di Trump minacciano non solo le vite di chi raccoglie pomodori senza uno straccio di contratto o documento, ma anche dell’intero comparto del food.
I numeri stranieri dell’industria alimentare statunitense
Dall’agricoltura alla ristorazione, passando per le consegne e la produzione di carne, il settore alimentare e gastronomico degli Stati Uniti è in gran parte nelle mani di lavoratrici e lavoratori stranieri e senza documenti. La politica anti-immigrazione del governo Trump ha iniziato a seminare il terrore già a inizio anno, quando l’ente adibito alla verifica degli immigrati irregolari (per gli amici ICE, che sta per Immigration and Customs Enforcement) ha avviato la sua campagna di controlli che ha fatto tremare i ristoratori americani e i loro staff.
Oggi le operazioni proseguono, ma ciò di cui forse l’amministrazione in carica non ha tenuto conto è l’enorme impatto che questi stranieri hanno sul comparto. Messico, Cina, Guatemala sono solo alcuni dei Paesi in cui sono nati gli individui che oggi si occupano di molti lavori che gli stessi statunitensi non vorrebbero svolgere.
Il Guardian ci aiuta a fare il punto della situazione sfornando una serie di dati notevoli. Si parla in primis dell’agricoltura (sorpresi?), dove gli immigrati rappresentano il 27% della manovalanza, cifra che in California raggiunge addirittura i due terzi del totale. Nei supermercati, sono 462.000 gli espatriati che contribuiscono al settore, ovvero il 15% dell’intera forza lavoro. E ancora è straniero il 31% di cuoche e cuochi, il 18% di cameriere e camerieri, e il 17% di chi prepara e serve dietro i banconi della ristorazione.
Cifre che, se vengono a mancare, rischiano di far traballare l’intera filiera gastronomica e alimentare. Sono già in molti a scegliere di rimanere a casa per paura dei controllo dell’ICE: succede ad esempio in Texas, dove i braccianti hanno in parte abbandonato i campi; e a Los Angelses, dove alcuni ristoranti e food truck sono stati costretti a rimanere chiusi. Ma l’impatto, chiaramente, è in primis sulle vite umane: due settimane fa, il 57enne messicano Jaime Alanís è morto cercando di sfuggire a un controllo dell’ICE.