Non è (più) il momento delle alternative vegetali alla carne. La bolla del plant-based, dalle apparenti prospettive rosee iniziali, sta scoppiando, e non poteva che andare così. Nonostante i dati degli ultimi anni dipingessero un interesse crescente verso le proteine vegetali e un conseguente aumento (non indifferente) di questa fetta di mercato, erano e sono ancora troppo numerosi e radicati i fattori che spingono i consumatori verso un’altra direzione. Il caso più emblematico è quello di Beyond Meat, portabandiera della carne non-carne: già in serie difficoltà da diverso tempo, l’azienda californiana è ora sull’orlo del precipizio ed è stata costretta a lanciare un’offerta di scambio per risolvere almeno 800 milioni di dollari del suo debito totale.
Il crollo di Beyond Meat
La crisi nera di Beyond Meat, fra i nomi più rappresentativi dell’industria della carne alternativa, è giunta a un punto critico. Negli anni l’azienda è stata costretta a tagliare centinaia di posti di lavoro, aumentare i prezzi dei suoi prodotti e persino cambiare il nome del brand da Beyond Meat a Beyond, eliminando quel riferimento alla carne indigesto a molti.
Perché uno dei problemi principali dietro il fallimento del progetto (non solo di Beyond, ma del plant-based in generale) sta proprio nella risposta dell’industria della carne – e dei suoi più accaniti consumatori –, aggravata dalla tendenza generalizzata a voler assumere sempre più proteine. A ciò si aggiunge, negli Stati Uniti come in Italia, una retorica carnivora che parte dal popolo ma non meno dalla politica e dalle lobby.
Ma cosa succede, in pratica, a Beyond? Succede che la società ha lanciato un’offerta di scambio, aperta fino al 28 ottobre, a fronte di un debito totale che, a fine giugno, ammontava a 1,2 miliardi di dollari. La compagnia statunitense sta rapidamente consumando le proprie riserve di liquidità e continua a osservare un rapido calo delle vendite. Il futuro del plant-based, al momento, non sembra proprio roseo.