Le bevande a basso contenuto o prive di alcol non sono per chi beve poco, ma proprio per chi beve tanto. Ci spieghiamo meglio. Secondo l’università di Sheffield, nel Regno Unito, le persone che consumano bevande alcoliche in quantità rischiose hanno più probabilità di acquistare no/lo rispetto a chi beve poco o niente. Il dato, chiaramente, è incoraggiante, ma dall’altra parte il prezzo tendenzialmente più elevato di questi prodotti rispetto alle bottiglie e alle lattine “classiche” può rappresentare una barriera, specie per le fasce di popolazione in maggiori difficoltà economiche.
Chi beve più no e low-alcohol in UK?
L’Università di Sheffield e il gruppo di ricerca per le dipendenze (SARG, Sheffield Addictions Research Group) della stessa città hanno pubblicato un report sui consumi di bibite no e low-alcohol nel Regno Unito. Pur essendo limitati al Paese oltremanica, i dati sono interessanti per capire le tendenze del mercato e dei consumatori, il cui identikit potrebbe sorprendere.
Secondo i numeri degli ultimi anni, sono soprattutto i bevitori (sia a basso che ad alto rischio) ad apprezzare i drink a ridotto o zero contenuto di alcol: il 38% dei primi e il 40% dei secondi ha sorseggiato almeno una volta una bottiglia no/lo nell’arco di un anno, contro solo il 10% dei non bevitori.
In un Paese in cui la birra è il Sacro Graal nazionale, è notevole che il valore di vendita di questi prodotti sia più che duplicato dal 2020, e che siano proprio le persone che normalmente consumano più alcol ad approcciarci maggiormente alla categoria merceologica del no/lo.
L’ostacolo a un ulteriore sviluppo futuro, che potrebbe tradursi in una riduzione del consumo di bevande alcoliche (e dei rischi associati), sta però nel prezzo di queste bevande, che rimane superiore rispetto agli omologhi alcolici.
Il professor John Holme, direttore del SARG, esprime così la sua preoccupazione: “Poiché l’alcol è la principale causa di danno per i gruppi in maggiori difficoltà economiche, qualsiasi barriera in termini di costo può limitare i potenziali benefici per la salute pubblica di questi prodotti”.