Se solo il cibo fosse sempre sinonimo di leggerezza e piacere. Ma la realtà di un mondo costellato da conflitti ci mostra senza mezzi termini la faccia più reale e tangibile dell’essenzialità del cibo, col suo delicatissimo ruolo di strumento per la sopravvivenza. La guerra a Gaza e la volontaria negazione politica dell’accesso all’alimentazione, usata come strategia militare, ne sono la prova più lampante al momento . Nessuno dovrebbe esimersi dall’alzare la voce, specie le personalità più influenti; lo chef di origine israeliana Yotam Ottolenghi non si è tirato indietro.
Un’ovvietà super partes
Per noi nati nella “parte fortunata” del mondo, la cucina è un mezzo di socializzazione, godimento, cultura, espressività. Ma lì dove la fame, quella vera, è una realtà quotidiana, il cibo assume tutt’altro valore.
Lo sa bene lo chef José Andrés, sempre presente con la sua ONG ovunque ci sia un disastro o un conflitto, Gaza compresa (con tutte le difficoltà, deliberatamente imposte dal governo, del caso).
E ne è consapevole anche il cuoco Yotam Ottolenghi, la cui recente riflessione pubblicata su Instagram si fa portavoce di una frustrazione che va al di là di qualsiasi appartenenza politica, religiosa o nazionale.
La voce è quella di uno chef, di un individuo con forti legami in Israele: “Tutto questo non ha niente a che vedere con la parte da cui si sta. È una questione di vite“, afferma il cuoco, rimarcando il diritto di ogni essere umano a “mangiare, sopravvivere, vivere senza paura”.
A essere evidenziato è, ancora una volta, il ruolo cruciale dell’alimentazione: “Il cibo non dovrebbe mai essere uno strumento di guerra. Dovrebbe essere un ponte”, sottolinea chef Ottolenghi sul suo post.
Quanto le fazioni c’entrino poco nella protesta contro il genocidio in atto lo ha dimostrato la scorsa settimana anche Ben Cohen, del celeberrimo gelato Ben & Jerry’s, ribellandosi al sostegno americano nei confronti di Israele – a prescindere dalle sue origini ebree.