Per costruire il suo birrificio ad Addis Abeba, Heineken avrebbe violato più di un diritto umano

A dieci anni di distanza, grazie a un'inchiesta emergono i retroscena di un birrificio nato tramite abusi e usurpazioni.

Per costruire il suo birrificio ad Addis Abeba, Heineken avrebbe violato più di un diritto umano

A più di dieci anni dall’insediamento di Heineken ad Addis Abeba, capitale etiope, emergono i retroscena di una partenza parecchio proficua per l’azienda olandese, ma molto meno per gli abitanti della zona. Un’inchiesta ha infatti messo in luce come il gruppo produttore di birra abbia usurpato i terreni delle persone del posto senza neppure ricompensarle con un opportuno risarcimento. Ora si leva la voce di chi racconta come sono andati i fatti e in che modo tutt’oggi la presenza dell’impianto influenzi negativamente la vita quotidiana.

La ricostruzione dei fatti

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Siamo a Kilinto, area a sud di Addis Abeba dove da oltre un decennio opera un birrificio Heineken. Ma gli inizi non sono stati dei migliori – e anche adesso le condizioni di vita della gente locale lasciano a desiderare. Heineken c’entra, eccome.

A distanza di oltre due lustri, la piattaforma di giornalismo investigativo Follow the Money (anch’essa dei Paesi Bassi, proprio come il grande marchio del beverage) ha pubblicato un’inchiesta per dare voce a chi ha subito una serie di soprusi e vere e proprie violazioni dei diritti umani – come riportato dallo stesso Osservatorio Diritti – per fare spazio, forzatamente, al nuovo impianto di produzione.

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Si ricostruisce così la storia di chi ha dovuto cedere i propri terreni ricevendone in cambio altri più piccoli o un compenso economico estremamente inferiore rispetto al reale valore della terra; così come di avvisi di espropriazione giunti appena 24 ore prima dell’arrivo dei bulldozer. Due persone sarebbero addirittura morte di infarto a causa dello stress provocato dalla situazione.

Avanti veloce a dieci anni dopo, alcune delle persone che hanno subito la confisca dei terreni o hanno resistito alla stessa si trovano a lavorare nell’impianto di Kilinto, svolgendo quello che qualcuno ha definito un “impiego umiliante”, ma necessario per sopravvivere. Una di queste persone sarebbe stata torturata e licenziata dal suo incarico municipale per essersi opposta all’esproprio.

Ma i problemi non finiscono qui, e riguardano anche l’impiego delle risorse locali: l’acqua potabile, in primis, le cui condutture sono state deviate, secondo le testimonianze, dagli sbocchi che servivano la comunità a quelli in direzione del birrificio stesso (una storia che in qualche modo ci ricorda la situazione di San Cristóbal de las Casas, in Messico, causata da un altro colosso delle bevande).