I dazi di Trump fanno bene all’economia. L’affermazione, ça va sans dire, è provocatoria, ma nell’imporre tasse che in Paesi come il Brasile hanno raggiunto 50 punti percentuali, il governo statunitense non ha forse considerato che le nazioni colpite avrebbero cercato dei modi per aggirare il problema – e magari trovare nuove occasioni di crescita e sviluppo commerciale. Succede ad esempio con il caffè brasiliano che, se fatica ad arrivare negli States date le pesanti imposte, si sposta verso Oriente.
Nuovi mercati per il caffè brasiliano
Si irrigidiscono i rapporti commerciali da una parte, ma si aprono nuovi orizzonti dall’altra. Il Brasile accusa il colpo dei dazi statunitensi arrivati al 50% su molti suoi prodotti, ma non abbassa la testa. Il Paese sudamericano si è guardato intorno e ha già trovato nuovi sbocchi verso cui esportare i suoi preziosi chicchi.
È la Cina, al momento, il partner più saporito: l’ambasciata del Paese asiatico a Brasilia ha annunciato nei giorni scorsi di aver autorizzato 183 nuove (per il mercato cinese) aziende brasiliane produttrici di caffè a entrare nel mercato cinese, con un permesso valido per cinque anni. La Repubblica Popolare, d’altronde, mostra un interesse crescente verso il nero, specie tra le generazioni più giovani.
Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, gli Stati Uniti si troveranno ad affrontare le conseguenze delle loro stesse decisioni. Maggior importatore di caffè al mondo, il territorio a stelle e strisce si basa non poco sull’importazione di chicchi dal Brasile, che nel 2024 ha venduto al Paese di Trump il 30,7% del totale di caffè acquistato.
I mercati alimentari si muovono anche nell’Asia Meridionale. A fine mese il primo ministro indiano Modi visiterà Pechino per la prima volta dopo sette anni, dimostrando che l’India è intenzionata a ristabilire contatti politici (e potenzialmente commerciali) con la Cina.