Ristoranti: per Fipe è sbagliato escluderli dalle riaperture della “fase 2”

Per Fipe è sbagliato escludere i ristoranti dalle riaperture della fase 2. Per il direttore della Federazione, "il settore farà attenzione a tutte le misure di contenimento del contagio”.

Ristoranti: per Fipe è sbagliato escluderli dalle riaperture della “fase 2”

Imparare a convivere con il Coronavirus sarà la mission della seconda fase da cui l’Esecutivo, al momento, pare voler escludere i ristoranti e tutti i locali di aggregazione sociale, pizzerie, pub, discoteche. Di parere avverso, però, è la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) che ritiene sbagliato escludere queste categorie dalle riaperture della “fase 2”.

Il direttore generale, Roberto Calugi, ha rilasciato un commento all’agenzia di stampa AdnKronos in cui si sottolinea come sia essenziale ripartire con ogni precauzione, ma a farlo devono essere tutti.

“Ripartiamo con ogni precauzione, altrimenti è certa la morte di  decine di migliaia imprese. Se a partire dal 14 aprile, in Italia,  ripartirà qualche attività, dovrebbero farlo con tutte le cautele e  le precauzioni studiate anche i pubblici esercizi, i primi tra l’altro a essere stati ‘chiusi’ per l’emergenza Coronavirus”, dichiara il direttore.

Calugi evidenzia delle incongruenze nella gestione del lockdown. “Così come si possono usare precauzioni in una  rosticceria o in un panificio, che oggi sono aperti, non si capisce  perché non si possa fare lo stesso all’interno di un bar o di un ristorante”. Lo stesso dicasi per le pasticcerie, che al momento restano chiuse e ‘arrabbiatissime’ “.

Il suggerimento della Fipe è estendere le procedure di distanziamento, con ingressi contingentati, anche nei locali. “Farlo significherebbe tornare a dare dignità al lavoro. Ho ricevuto centinaia di chiamate di associati spaventati perché pensano di non aprire più. I ristoratori non hanno più soldi e così facendo si dà per certa la morte di decine di migliaia di imprese”.  Ad avvalorare questa situazione, il fatto che molti locali non possono permettersi le commissioni delle piattaforme delivery, che vanno dal 20 al 30%.