Consigliare i ristoranti è diventata una faccenda complicatissima

Le richieste e le aspettative dei clienti si sono diversificate in modo esponenziale: oggi consigliare un ristorante a qualcuno è ancora di più un atto di responsabilità.

Consigliare i ristoranti è diventata una faccenda complicatissima

“Un posto per 10 persone all’aperto in centro sabato sera”, “un vegano per due amici di Milano però anche senza glutine”, “un pranzo veloce sotto i 10 euro no carboidrati”, “un ristorante internazionale fuori dai soliti giri”, fino a “un posto a Mantova in cui fare colazione, te lo chiedo con anticipo, ci andrò tra tre mesi” sono alcuni esempi dei messaggi che ricevo dalle persone che conosco e che non conosco. Una sorte che condivido, credo, con molti che girano spesso per ristoranti, non solo quelli che effettivamente ne scrivono da qualche parte. È come la faccenda del guidatore designato: c’è sempre qualcuno a cui chiedere dove andare a mangiare per una specifica occasione.

Fin qui è la solita storia: saranno almeno 20 anni che va avanti questo processo. Da quando i ristoranti hanno cominciato ad aprire a spron battuto, da quando al ristorante ci si va non una ma 3 volte a settimana, da quando si cercano sempre posti diversi e non ci si affida più solo agli indirizzi a cui ci siamo fidelizzati, la scelta del ristorante corrisponde a processi molto più complessi di quelli a cui eravamo abituati. L’offerta è talmente tanta e così diversificata, che c’è sempre un nuovo ristorante da provare, una fregatura da schivare, un nuovo posto da premiare.

Il punto è che consigliare a qualcuno dove passare una cena e un pranzo, non è affatto banale. Uscendo dal seminato dei canali ufficiali, le guide ad esempio, che anche per questa ragione hanno parecchi problemi, la raccomandazione formale o informale di un indirizzo si è fatta una faccenda complicatissima. Prima di tutto perché, come dimostrano alcuni dei messaggi che ho riportato sopra, le esigenze si sono diversificate in maniera enorme: quanto si spende? Accetta cani? Ha piatti vegani e vegetariani? Accetta prenotazioni? Accetta gruppi di 6 persone? È molto affollato? Ha tavoli fuori? Ci sono piatti senza glutine? È kids friendly? Va bene per un’occasione romantica? Ha la vista? Fino ad alcuni anni fa i ristoratori non avrebbero dovuto accogliere un’umanità così trasversale, ma oggi il cliente di un ristorante, potenzialmente, è chiunque.

C’è poi la questione, che si fa sempre più pressante del portafoglio: definire quanto sia costoso un posto è del tutto relativo, e corrisponde specificatamente al budget di ogni singolo individuo. Spesso in una tavolata di persone, questi budget sono molto diversi tra loro e sintetizzarli in una sola destinazione, non è così semplice. Considerata anche l’inflazione galoppante e la possibilità di investimento delle famiglie, indirizzare qualcuno verso una spesa o un’altra diventa sempre di più un fattore di responsabilità. C’è poi anche il discorso che i clienti stessi sanno, o pensano di sapere, molto di più dei ristoranti: fanno paragoni, questionano sulle porzioni, sui prezzi, sulla carta dei vini, sul servizio. Non tutti gli acquirenti hanno davvero una competenza sul cibo o sul bere, questo non vuol dire che le loro aspettative siano ridotte rispetto all’esperienza che hanno in mente di vivere.

Ci sono poi degli elementi del tutto soggettivi: ad esempio, come cliente sono più che disposta a chiudere un occhio su qualche piatto poco azzeccato se il servizio è molto cortese e se l’ambiente mi convince parecchio. Se sono a un tavolo con degli amici per un’occasione, lo stesso atto di mangiare potrebbe diventare un fattore secondario rispetto alle chiacchiere o ai momenti che condividiamo. Ma questo tipo di approccio non è condiviso da tutti.

Senza contare che il ristorante non è un’industria e la costanza non è sempre una garanzia: per questo chi riesce a rendere la sua proposta non solo efficace ma durevole nel tempo, andrebbe premiato con maggiore enfasi. La perfezione non è di questo mondo, ce lo ripetiamo spesso, eppure dai ristoranti sembriamo quasi pretenderla: dire ad esempio pubblicamente che un posto è buono per N motivi e discutibile per altri N motivi è ancora un tabù, e non smette affatto di esserlo. Per quanto oltre che trasparente, mi sembra anche un approccio realistico: cene e pranzi assolutamente perfetti, senza nemmeno una sbavatura, sono rari come orsi polari. Ed è sempre stato così.

E tutto questo discorso esula finora dal tema dei ruoli professionali: ad esempio critico e cliente, oppure content creator che consigliano ristoranti e loro follower, una categoria che è cresciuta in modo spaventoso negli ultimi anni e che funziona benissimo su Instagram e Tik Tok. In tutto questo marasma di esigenze, mi sembra sempre più centrale affidare alla competenza e al senso di responsabilità la scelta di un buon ristorante. Non volevo arrivare a chiedermi se i critici gastronomici, in qualsiasi veste del loro esercizio, sui social, sui giornali, su una guida, fossero davvero necessari, ma alla fine la conclusione è questa: lo sono sul serio e i clienti farebbero bene a chiedersi davvero se le persone che stanno ascoltando parlano con competenza e trasparenza, o se invece ci stanno solo rifilando l’ennesima marketta.