Coronavirus e ristoranti: i danni del Veneto, aggiunti all’acqua alta di Venezia

Venezia e la provincia di Padova sono le zone del Veneto che soffrono di più i danni collaterali del Cornavirus. I ristoranti subiscono cali impressionati: abbiamo parlato con chef, ristoratori e associazioni di pubblici esercizi per fare il punto.

Coronavirus e ristoranti: i danni del Veneto, aggiunti all’acqua alta di Venezia

Il Carnevale di Venezia sospeso sul più bello e il crollo di un turismo già indebolito dall’acqua alta, la fuga dai ristoranti: con 42 contagi, il il Veneto è la seconda regione d’Italia con il più alto numero di casi di Coronavirus. Pur non avendo adottato la severa ordinanza emanata dalla Lombardia, la regione del focolaio, sta soffrendo un forte impatto negativo sui consumi e sulle attività legate alla ristorazione.

Le zone che risentono di più sono Venezia e la provincia di Padova (Vò Euganeo è il paese in cui è stato trovato il secondo focolaio): abbiamo quindi raccolto le voci di ristoratori veneziani e padovani per capire com’è la situazione in questi giorni.

A Venezia il calo di presenze, visibile soprattutto negli alberghi della città, arriva a dare il colpo di grazia ad una stagione già pessima, iniziata con l’acqua alta dello scorso 13 novembre. I dati parlano di un calo del 40% e le previsioni i prossimi mesi non sono incoraggianti: il dato sugli arrivi per marzo e aprile ha infatti una forbice del 48-52% in meno.

H2 NO, bacaro veneziano

La brutta stagione del Coronavirus, dopo l’acqua alta

Davide Verna, trent’anni di esperienza nel settore della ristorazione e oggi titolare di H2 NO, bacaro veneziano che accosta all’offerta gastronomica musica dal vivo ed eventi, ci ha detto che “la clientela è calata almeno del 90%, sia tra gli stranieri che tra i veneziani: da me vengono praticamente solo gli amici”. Concorda sulla scarsa chiarezza di informazioni e con le critiche rivolte all’ordinanza applicata in Lombardia, in particolare proprio per la dubbia definizione di “assembramento” visto che, sottolinea, “le partite di calcio mettono insieme 20.000 persone, il Carnevale in Piazza San Marco ne avrebbe assembrate 2000 e all’aperto. I nostri concerti, sempre all’aperto, un centinaio: non c’è proporzione”.

Il fuggi-fuggi degli ultimi giorni aggiunge danno economico ad una condizione già compromessa da novembre: spiega Verna infatti che, per poter ottenere un rimborso dai danni causati dall’acqua alta, entro il 30 aprile gli esercenti devono mandare le fatture che hanno già pagato. La speranza era che il Carnevale potesse portare una boccata d’ossigeno, ma il calo di incassi dovuto al Coronavirus porterà inevitabilmente alla perdita dei rimborsi o di almeno una parte di essi. L’incertezza sulla durata dell’emergenza inoltre sta portando a licenziamenti e dimissioni: sembra infatti che molti dipendenti stiano preparando lettere di licenziamento ipotizzando che anche i datori di lavoro con le spalle più coperte non riusciranno a reggere, nel caso in cui l’emergenza si protragga a lungo.

La conferma di una situazione di estrema difficoltà arriva anche da Orietta Miotto, titolare del ristorante Ogio a Venezia, nei pressi del Ghetto: “Il Carnevale tutto sommato stava andando bene. Domenica sera invece abbiamo letteralmente visto la clientela correre a casa. Ora durante la settimana si può tranquillamente chiudere la sera, perché non ci sono clienti”.

L’analisi lucida di Miotto parte dall’acqua alta di novembre e dal modo in cui è stata gestita e comunicata, e si allarga fino a trasformarsi in una vera e propria valutazione sulla trasformazione delle presenze turistiche a Venezia: “A Novembre eravamo partiti bene poi, con l’acqua alta, la debacle. Il calo di presenze negli alberghi si è riflettuto su di noi, che abbiamo una clientela che arriva dagli hotel, e quindi posso confermare il calo del 50%. A gennaio era proprio il mercato cinese a tenerci in piedi: ora ci salvano solo gli italiani che si fermano a Venezia, ma per una sosta breve. I turisti stranieri che soggiornavano più a lungo non arrivano più”.

Non è migliore la situazione nel padovano. Filippo Segato, segretario di Appe, l’associazione provinciale dei pubblici esercizi, disegna un quadro decisamente sconfortante. Se in una nota l’associazione ha sottolineato come “l’ordinanza della Regione, che pure non prevede la chiusura dei bar e ristoranti, unita alla psicosi rischia seriamente di incidere in modo drammatico sui bilanci delle attività commerciali”, Segato non esita a parlare di “clima di guerra”, che coinvolge sia la città che la provincia.

“Alcuni ristoratori dei colli (Euganei, zona nella quale si trova il comune di Vò, n.d.r.) sono stati costretti per la prima volta ad una chiusura infrasettimanale, che non si era mai verificata, proprio a causa dell’assenza di clienti. E anche Padova risente del clima: nonostante la presenza di turisti in città, ristoratori e gestori parlano di un sensibile calo dei clienti, quantificabile in un 70%- 80% in meno. Forse i bar sono meno penalizzati perché si ritiene che il tempo di un caffè veloce non rappresenti un rischio di contagio pari a due ore seduti a tavola, ma la crisi è comunque trasversale. Per questo le associazioni di categoria hanno incontrato il presidente della regione e l’assessore al turismo: la richiesta è quella di veicolare il messaggio che sottolinei come i pubblici esercizi non siano luoghi pericolosi, anzi. Sono attività particolarmente curate sotto il profilo igienico sanitario, proprio in virtù degli obblighi Hccp.

Galleria Einaudi; Monselice

Chiediamo inoltre l’estensione alle imprese che rappresentiamo, di misure di sostegno già adottate in altri settori, come la sospensione del pagamento dei tributi periodici e dei mutui”. Di segno solo forse solo apparentemente opposto – ma immaginiamo sia un modo per esorcizzare la paura e invitare i clienti a continuare a comportarsi normalmente – l’opinione di Giulio Formaggio, giovane titolare di Galleria Einaudi, un locale dall’ampia offerta gastronomica (dalla colazione alla cena) a Monselice. Se infatti venerdì e sabato, dopo la notizia del contagio di Vò, il calo di clienti c’è stato, già da domenica la situazione è tornata alla normalità. Anche Formaggio sottolinea – e a questo punto la richiesta si fa appello trasversale – la necessità di una informazione corretta, certamente precisa ma che non generi allarmismi ingiustificati.

E se la folle corsa ai supermercati la dice lunga sulla volontà di riprendere una vita normale, nonostante gli inviti alla calma, c’è chi ha pensato ad un servizio di consegna a domicilio per quanti non sono nelle condizioni di muoversi ma non vogliono contemporaneamente rinunciare ad una cena al ristorante. Giuliano Baldessari, chef e titolare di Aqua Crua a Barbarano Vicentino, ha pensato ad un menu da asporto, a 30-35 euro, “per portare ristoro nelle anime e nel cuore”.