Perché manca la CO2 e cosa c’entrano gli allevamenti

Sul mercato l'anidride carbonica costa come l'oro e le aziende che imbottigliano acqua non riescono più a reperirla (o a permettersela?). Dal caso del Regno Unito arrivano molte risposte, e forse anche dagli allevamenti.

Perché manca la CO2 e cosa c’entrano gli allevamenti

L’anidride carbonica è ovunque, anche nell’industria alimentare, dove viene utilizzata in larga misura per soddisfare un’ampia gamma di necessità. Le bibite gassate, alcoliche o analcoliche, sono solo la punta dell’iceberg. La CO2 infatti viene anche adoperata in pub e ristoranti per spillare la birra, in agricoltura per accelerare la crescita di alcune varietà vegetali in serra, negli allevamenti per stordire gli animali prima della macellazione, nell’industria per il confezionamento di alcuni alimenti, sia freschi che non, al fine di prolungarne le date di scadenza, infine per refrigerare e trasportare alimenti. Fuori dall’industria alimentare, ci sono moltissimi altri mercati per la CO2, ad esempio quello medico e sanitario. Partiamo da qui per capire perché sembra che a breve mancherà la CO2 in Italia.

Acqua Sant’Anna ha smesso di produrre acqua frizzante

acqua frizzante in bicchiere

Come riportato da Ansa il 7 Luglio, il CEO di Acqua Sant’Anna, Alberto Bertone ha dichiarato di aver fermato la produzione delle acque frizzanti a causa dei costi altissimi della CO2 e della sua irreperibilità sul mercato. Sant’Anna è azienda leader in Italia nella produzione di acque in bottiglia con un giro d’affari di 350 milioni di euro nel 2021 e una capacità produttiva in stabilimento di 3,5 miliardi di bottiglie all’anno. “La CO2 è introvabile e anche tutti i nostri competitor sono nella stessa situazione” ha dichiarato Bertone “Siamo disperati, è un altro problema gravissimo che si aggiunge ai rincari record delle materie prime e alla siccità che sta impoverendo le fonti” ha aggiunto. Secondo il CEO gli ultimi prodotti disponibili sono ora nei supermercati, finiti quelli non ci sarà più acqua gassata poiché le aziende produttrici preferiscono destinare la CO2 al settore medico-sanitario dove viene fatto larghissimo impiego di anidride carbonica.

Il caso del Regno Unito

A Settembre 2021 in Inghilterra scoppiava un allarme simile, e non era neppure cominciata la guerra in Ucraina. Le motivazioni del CO2 shortage, spiegate da un articolo della BBC non sorprendono e mostrano un mercato sempre più interconnesso e fatto di filiere infinite. Nel Regno Unito infatti l’azienda di riferimento per l’anidride carbonica è CF Industries, che da sola copre per il 60% il fabbisogno dell’anidride carbonica del paese, producendo la CO2 come sottoprodotto del suo mercato principale, il fertilizzante. I suoi due impianti più grandi, situati a Teesside e nel Cheshire, nell’autunno del 2021 hanno interrotto le attività a causa dell’aumento dei prezzi del gas all’ingrosso che a sua volta ha fermato l’attività delle fabbriche di fertilizzanti.

A questo punto il governo del Regno Unito ha concluso un accordo con CF Industries in modo da farsi carico di tutti i costi operativi, decine di milioni di sterline, dell’impianto per il tempo necessario per adattarsi al mercato internazionale. Si immaginava di risolvere il problema facendo salire i prezzi d’acquisto dell’industria alimentare di almeno cinque volte, passando da 200 a 1.000 sterline per tonnellata di anidride carbonica. Il Regno Unito aveva già affrontato qualcosa di simile nel 2018. Tutt’ora il problema non appare risolto.

Perché non possiamo semplicemente sottrarre anidride carbonica dall’aria (e ridurre le emissioni)

Sul caso inglese (ma vale anche per l’Italia) Ian Farrell ha spiegato su Royal Society of Chemistry perché se c’è mancanza di CO2 non potremmo semplicemente sottrarre anidride carbonica dell’atmosfera, abbattendo le emissioni e mitigando il global warming. “Attualmente, emettiamo circa 40 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera ogni anno” scrive Farrell “Queste emissioni sono il motore principale del cambiamento climatico. Tuttavia, poiché la CO2 è distribuita su un’area così vasta, è molto diluita nell’aria. Solo lo 0,04% è CO2, rispetto al 78% di azoto e al 21% di ossigeno. Ciò significa che qualsiasi dispositivo che catturi la CO2 dall’aria dovrà lavorare molto duramente per raccogliere una quantità sufficiente per le nostre esigenze industriali. Utilizzando la tecnologia attuale, ciò significa che il processo non sarà economicamente fattibile”. Non impossibile dunque, ma antieconomico.

Le dichiarazioni del presidente di Mineracqua

Tornando però all’Italia, il discorso di Bertone non sembra totalmente coerente con quanto affermato a fine Giugno da Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua a La Presse, parlando delle ripercussioni della siccità sul mercato delle acque oligominerali. “Non c’è un calo della produzione anche perché non c’è un rapporto causa-effetto così immediato. Il ciclo delle acque minerali è molto complesso. E in linea generale quello che imbottiglio adesso è in giacimento già da molto tempo, anche 10 anni; ed è in questo modo che assume le caratteristiche che la definiscono” aveva sostenuto Fortuna.

Siamo dunque di fronte a uno spartiacque: da una parte Bertone lamenta l’impoverimento delle fonti a causa della siccità, dall’altra Fortuna sottolinea che l’acqua che viene prodotta adesso viene stoccata e distribuita a lungo termine. È dunque ipotizzabile che gli stock di mercato di Acqua Sant’Anna siano ancora molto voluminosi, lo stesso potrebbe valere per il discorso della CO2 e che nell’immediato non ci sia un serio problema di mancanza di acque frizzanti. Intanto non è da escludere che le dichiarazioni di Bertone abbiano provocato, come accaduto per lievito e beni di prima necessità durante pandemia e guerra, una corsa all’accaparramento.

I costi dei prelievi delle acque

Va inoltre aggiunto che stando a un’inchiesta di Altra Economia, anche l’impatto del prelievo delle acque da parte delle grandi aziende di imbottigliamento ha ricadute importanti sul ciclo dell’acqua. Stando ai dati regionali 2020 analizzati da Altra Economia, le grandi aziende continuano a prelevare acqua corrispondendo canoni di versamento irrisori, che vanno dagli 0,0003 centesimi di euro corrisposti in Abruzzo per litro imbottigliato, fino al massimo dello 0,0013 centesimi della provincia di Trento (la Regione Piemonte, all’interno della quale opera Sant’Anna, non figura perché non ha voluto trasmettere il numero). Impossible dunque escludere che tutti i problemi siano interconnessi.

La proposta di usare l’anidride carbonica degli allevamenti

Infine, Coldiretti Torino si è espressa pubblicamente per proporre agli stabilimenti di imbottigliamento di utilizzare l’anidride carbonica degli allevamenti del Piemonte per l’acqua frizzante. Il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici, ha sostenuto che “Con la diffusione di biodigestori di nuova generazione gli allevamenti da problema ambientale diventano addirittura risorsa energetica e industriale”. L’anidride carbonica potrebbe essere prelevata in formato liquido dal moderno bioreattore di Candiolo dove da liquami e deiezioni di oltre 4500 bovini allevati da aziende della zona viene generato metano per l’energia elettrica. In questo processo si potrebbe estrarre anche anidride carbonica destinandola a vari impieghi, tra cui la produzione dell’acqua frizzante.