Ho voglia di litigare: sei cose che detesto della birra artigianale

Ho voglia di litigare: sei cose che detesto della birra artigianale

Ah la birra: che bontà! Che versatilità! Che freschezza! Chi non la beve? E chi non l’ha accompagnata al panino con la mortadella o alla pizza d’asporto prima che la pratica diventasse reato capitale?

Ecco io lo voglio dire: sono stanca di questo imborghesimento della mia bevanda preferita. E sono stanca di vedere gente che ficca il naso dentro la birra e mi elenca le sensazioni olfattive. Nonostante il mio cromosoma femminile ne condannasse l’abuso in età minore, l’ho sempre trangugiata allegramente. E grazie all’heavy metal ero quella con la Peroni da 66 sul litorale laziale. Sul rutto libero (e l’igiene) però i maschietti mi hanno sempre sopravanzata. Ma me ne facevo una ragione.

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Per gli standard attuali io non sono un’esperta di grandi birre, eppure qualche decina di migliaia di pinte le ho buttate giù. E quando vivevo a Londra ne ho spillate di importanti. E certo, sì, ho bevuto – e bevo ancora – anche tantissima birra industriale. Perché alla braciolata in campagna con i tuoi amici devi portare una cassa di birraccia, non chissà quale capolavoro su cui spostare la conversazione.

Quindi, fucilatemi (o adottatemi) perché io sono pronta: sto per elencarvi i sei motivi per cui odio il fantastico mondo della birra artigianale:

1. IL PREZZO
Ragazzi, io capisco tutto: la buona volontà, la passione, le piccole dimensioni, i problemi distributivi, ma al mio moroso enocentrico come gli giustifico le artigianali in bottiglia a 15 euro nelle pizzerie e nei tanti locali che fanno a gara ad aumentare i birrifici in carta? Sì lo so, nei negozi specializzati e i supermercati più attenti (alcune Ipercoop soprattutto) costano la metà, ma sempre cifre importanti.

2. IL FOTTUTO KM 0
Viviamo in tempi difficili e complessi. Eppure ci piace credere che l’economia (specie quella gastronomica) possa vivere di bei sentimenti e tanta retorica. Cerchiamo a tutti i costi il luppolo del cortile e  coltiviamo i cereali locali, salvo poi fargli fare il giro d’Italia per non farli maltare all’estero. Mi dite che differenza c’è tra portarli fuori dall’Italia, tipo in Austria, rispetto a mandare l’orzo dalla Sicilia all’Emilia Romagna?

3. IL VOLER ESSERE VINO
Birrofili di tutto il mondo rispettate di più la vostra passione e la vostra bevanda. A me pare che nel “movimento delle birre artigianali” (per usare una di quelle espressioni cancerose e corporative ma che fa fico ostentare) ci sia stata una grande crescita e un obiettivo fermento. Ma anche un complesso di inferiorità verso il vino che non ha alcun senso. Basta con gente che parla a vanvera di Grand Cru, che usa barrique e sfoggia tic e kit del degustatore di vino. E finiamola con l’associazione con i vini naturali per adeguarsi alla smania di antagonismo. Anche perché in realtà in pochissimi nella birra lavorano in biologico. Suvvia, siamo gente semplice.

4. IL FAMOLOSTRANISMO
A proposito di essere semplici, volete darvi pace e limitare le spinte creative? OK, siamo arrivati tardi e dobbiamo confrontarci con una serie di stili ben codificati, ma abbiamo davvero bisogno di bere birre dalle luppolature estreme, speziatissime, o martirizzate dalla frutta (con albicocche, mandorle, lamponi, fragole…). Vade retro anche per gli ibridi birra/vino e basta con le birre alle castagne. Un minuto di silenzio per le birre al pesto o ai tre radicchi.

5. ACIDO NON E’ COSI’ BELLO
Lo ammetto: il primo lambic ti disgusta, la quinta ti conquista, però diamoci una regolata. Non capisco la pervicacia di chi vuole abbinarle a tutto pasto, berle a stomaco vuoto, ordinarne un bottiglia, ignorando l’inevitabile ulcera che ti prende quando superi il mezzo litro di acida.

6. IL FANATISMO DEI NUOVI BIRROFILI
Ci diamo un taglio con questa nefasta e spocchiosa intransigenza? Non mi è chiaro perché tra i tanti profili disadattati del circo dei gastrofissati si siamo imposto quello del birrofilo feroce e polemico, alla costante ricerca dell’incompetente da affossare con giudizi definitivi. Capisco il voler difendere la nicchia conquistata ma il disprezzo con cui etichettate l’inesperto è tragicamente staliniano.