Anteprima di Chiuduno | Il meccanismo della perfezione può produrre mostri

Il sito web era irritante, ma l’hanno cambiato tra la cena e la stesura. Avrei quindi dovuto dire che con santa pazienza avevo trovavo il numero di telefono e l’indirizzo, dopo aver dubitato di me, di Firefox, di Opera, di Explorer e poi ancora di me. Avrei anche dovuto dire che, trovata la “chiave di lettura”, il sito vecchio conteneva comunque un sacco di informazioni. Anche quello nuovo. Arrivo  in lieve ritardo e vedo levigatezza ovunque, eleganza perfino, a partire dal parcheggio. Non e’ un ambiente stimolante (i gusti son gusti) ma riconosco la ricerca di qualcosa, forse un po’ po’ di troppo classico. Dentro divorano già riso selvaggio fritto e bastoncini al parmigiano, accompagnando bollicine. Il riso è un’interessante alternativa ai low-cost pistacchi, i bastoncini sono la droga di classe che abbandoneremo solo a fatica dopo il dessert.

Dentro ci sono le stoviglie serigrafate in oro, le sedie di pelle bianca, i bicchieri diversi per ogni commensale, un cerimoniale preciso di animazione del tavolo. Puro pepe.

Dentro c’e’ personale benedetto, che riesce nell’impresa di umanizzare la ricercata perfezione. Aggiungendo il giusto spirito.

Poi, dietro una vetrata di cristallo, la cucina … o meglio: il laboratorio e il mastro inventore con il team. Ho visto almeno una sala operatoria (da sveglio) nella mia vita e posso dire che là, pulizia e ordine sono il casino se confrontati a questa cucina. Screzia una telecamera “dome”, ma e’ solo apparenza peché la telecamera inquadra le mani del mastro mentre crea e mesce, e nelle pause inquadra fissa due utensili perfettamente allineati. La dome rimanda le immagini a uno schermo piatto in sala e a un altro in cucina. Io passo la prima mezz’ora con lo sguardo fisso, ma poi mi passa.

Come funziona è abbastanza facile, tranne che abbiate al tavolo una stordita: percorso creativo di 15 portate oppure due menu creazionisti & tradizionali oppure la carta. Il food style e’ chiaramente di impronta molecolar-naturale-sperimentale-creativo, come si evince da sito (appunto).

Il prociutto e melone sa di melone, che non amo, e un po’ poco di prosciutto ma e’ un antipasto che annuncia di quali gioie si morirà. Impossibile non accostarlo a un uovo, apparente o meno.

La salvietta liofilizzata invece non è da mangiare, è una sorpresina che riceve vita da una brocca d’acqua, si erge come tante cose (ma ne ricorda maliziosamente una bella precisa) e lava le mani.

In questa situazione e’ quasi inverosimile vedersi servito un piatto con un ingrediente di forme  “semplici” come la pasta, certo di farina di carruba. E certo artisticamente sistemata con il suo trancio di rombo, i pomodori pachino e i porcini. Di più di buona.

Ma dopo la sfera di Mango, che vince il duello estetico di serata contro un piatto quasi-Gustavo Klimt (e di derivazione invece astronomica), ci si aspetta di tutto. Non so quanto tempo e quali molle spingano uno chef (e la brigata) a raggiungere un tipo di preparazione come questo, ma vorrei comunque baciare lo chef (e magari anche la brigata).

Sarebbe noioso allungare il brodo con la descrizione di tutti i piatti, anche se la “schisceta del minatore” e’ una bella idea piedi per terra, e di forma aliena. Anche se qui e lì saltano fuori acciughe di Cantabria e olive Pianogrillo. Uh gia’, e la caprese senza e con mozzarella allo stesso tempo. Tutti al sito, che già a leggere viene un balordone.

Brioche salate e pani girano e rigirano, i bastoncini al grana non li molla nessuno, qualcuno finisce il riso selvaggio e muore dalla voglia di rubarlo al vicino che, con dignita’, sposta lento la sua ciotolina.

Dopo 4 ore e passa, una bottiglia di Movia Rebula 2006 (ovviamente piu’ d’una ma io questa ho bevuto), dessert e dolcetti take away … ce ne andiamo. Con un conto che brilla di lealtà.

Uh, no, dimenticavo … prima della fine lo chef ci visita e racconta un po’ di come/dove/quando/perché, mi rimane impresso che ha avuto una formazione in cucina molto classica e pure rigidina. Vedo una certa evoluzione.

Un tontarello al tavolo tira fuori il nome (maledetto) di Dissapore, lo chef dichiara di leggerlo, meno male, lo chef ha anche abitudini infime.

Si tornerebbe ? Ovvio che si ma dopo un po’, cene da meditarci sopra almeno un paio di mesi.

E poi: meglio qui o dal Brasi gia’ trasferito al Devero? Ostia che brutta domanda.