Si può pensare come la si vuole sulle scelte di vegetariani e vegani – io personalmente le guardo con empatia e un po’ di invidia, perché non riesco (per ora?) a privarmi totalmente di certi alimenti. Si può pensarla in qualsiasi modo ma una cosa bisogna ammetterla: sono l’ultimo baluardo del politicamente scorretto. Ormai l’abbiamo capito tutti (in teoria, in teoria) che bisogna evitare frasi razziste e sessiste, che “mongoloide” non è un sinonimo di “scemo” da usare altrettanto a cuor leggero, persino che non è giusto discriminare le persone in base all’età. Tutti impeccabili ma poi oh, fateci caso, quando si tratta di sfottere una persona che non mangia animali ritiriamo fuori il peggio, tra meme boomer e battute scorreggione.
Ma lo sai che anche Hitler era vegano? È il livello massimo di questa retorica che si crede arguta ed è solo ridicola. Anche Hitler era vegano è il geniale titolo di un libro scritto da Dario Martinelli (Mimesis edizioni), professore universitario che delle relazioni tra umani e altri animali, della loro percezione e comunicazione, ha fatto l’oggetto dei propri studi. Il libro riesce nel difficile compito di essere da un lato leggibile, leggero, divertente perché polemico, e dall’altro ampio, profondo ed esauriente. L’oggetto è quello che l’autore chiama “vegafobia”, cioè l’ostilità programmatica e ideologica verso chi fa scelte alimentari vegane e vegetariane, che al pari delle simili omofobia, xenofobia ecc. non è che un accrocchio di stereotipi, opinioni preconfezionate e frasi fatte.
Ne abbiamo selezionate alcune: frasi da non dire a un vegano/vegetariano se non ci si vuole coprire di ridicolo.
1. È una solo una moda recente
Mangiare vegetariano o vegano è solo una moda, una roba passeggera, e per di più recente? Beh dipende da cosa si intende per recente. Se prendiamo l’origine della parola e del movimento vegan, possiamo farli risalire a 80 anni fa, come abbiamo raccontato. Di persone e intere comunità vegetariane invece ce ne sono state fin dai tempi più antichi: Pitagora, Plutarco, Leonardo da Vinci…
2. Tanto prima o poi ci ripensi
Un leitmotiv che si sente spesso, e che discende dal pregiudizio precedente, è che essendo appunto una moda, una infatuazione passeggera, poi la maggior parte dei veg ci ripensa, torna indietro. E viene riaccolta nella comunità dei carnivori (Martinelli dice “carnisti”, ma quello sulla terminologia è un discorso più complesso per il quale si rimanda alla lettura del libro) come il figliol prodigo, ovviamente ammazzando il vitello grasso. Lo stereotipo deriva anche dal fatto che “non possiamo fare a meno di mangiare carne” (vedi sotto il punto sugli onnivori), il richiamo ancestrale del sangue è troppo forte per potervi resistere – come se fossimo esseri completamente in balia degli istinti.
Bene, ma cosa dicono i dati? A fronte di milioni di vegetariani nel mondo, c’è effettivamente una percentuale che torna indietro: sono circa il 10% secondo una ricerca fatta negli Stati Uniti. Attenzione però, perché la maggior parte abbandona la dieta vegetale dopo meno di tre mesi. E una grossa fetta di questi avevano compiuto la scelta per motivi differenti da quelli etici o ambientalisti (salute, dieta ecc.). Quindi sì, in effetti ci ripensano quelli (pochi) per cui era veramente solo una moda, e lo fanno quasi subito.
3. La soia inquina più della carne
Ogni tanto viene fuori questa storia che gli alimenti privilegiati dai vegetariani come succedanei sono in qualche modo meno etici, più inquinanti/pericolosi/dannosi per l’ambiente o una data popolazione. Si è detto dell’avocado, della quinoa, si dice ripetutamente in particolare della soia: dopo gli allevamenti intensivi, la coltivazione che produce più gas serra, deforestazione e altri disastri, è quella della soia! Scaccomatto divoratori di bistecche di legumi! Beh, peccato che il 75% della soia non sia destinata all’alimentazione umana ma, indovinate, a quella degli animali chiusi negli allevamenti intensivi. Quindi doppio danno, tutto da ascrivere all’industria della carne.
4. Ci volete convincere/costringere
Lo stereotipo della persona vegana ha varie caratteristiche, ben evidenziate da Martinelli, sia nella realtà sia nella rappresentazione cinematografica per esempio: strambo, alternativo, triste, fissato, mentalmente instabile, poco virile… Una delle peculiarità più citate è quella del vegano militante, che vuole convincere chiunque della bontà delle proprie scelte. Ora, a parte che da mia esperienza – ma ognuno pensi bene alla propria – ho visto raramente vegetariani fare proselitismo, e molto più spesso onnivori rompere l’anima o sfottere o cercare di convincere i vegetariani.
Ma poi: che male ci sarebbe? Si tratta pur sempre, ricordiamolo, di una scelta di minoranza, e una minoranza che subisce un sistema organizzato e costruito sul modello opposto. Chiedere a un vegetariano di non parlare del perché delle sue scelte sarebbe come dire a un militante antirazzista di andare a farlo a casa propria, senza scendere in piazza a manifestare, o a una femminista di farsi i cazzi suoi e non rompere le palle in pubblico. Che, ops, è proprio quello che succede.
5) Ma siamo onnivori, devi mangiare tutto!
Questa è l’obiezione più debole di tutte. Essere onnivori – l’autore veramente propone termini diversi come “polifagi”, visto che in realtà non possiamo mangiare veramente tutto, ma solo molte cose – essere onnivoro e non erbivoro o carnivoro come molti animali, significa che possiamo mangiare di tutto, ma non che dobbiamo mangiare tutto ciò che è commestibile, pena la morte.
L’animale umano come molti altri animali si è evoluto grazie a una facile adattabilità alimentare, all’occorrenza è capace di trovare nutrimenti in un ventaglio molto ampio di cibi: ma appunto a seconda delle circostanze (geografiche, climatiche, economiche e sì, anche di scelta personale) è possibile che alcune popolazioni o gruppi di persone escludano totalmente vaste aree del commestibile senza subire conseguenze. Per millenni, popoli dell’entroterra sono andati avanti senza mangiare pesce, e quelli della costa senza carne, eccetera. Le scelte possono essere dettate anche dai gusti, oltre che dall’etica: l’autore per esempio trova assolutamente insopportabile il prezzemolo (mon frère!) eppure sia lui che io sopravviviamo benissimo da decenni senza mangiarlo.
6. Anche Hitler era vegano
E dulcis in fundo, l’arma fine di mondo. La reductio ad hitlerum. Ora ci sono da dire una serie di cose: innanzitutto, Adolf Hitler non è mai stato vegano; ci sono testimonianze che abbia smesso di mangiare animali nel 1942, quindi casomai è stato vegetariano per tre anni (gli ultimi) della sua vita. La Germania nazista ha emanato, è vero, leggi avanzate in materia di protezione degli animali, ma ha anche inserito le associazioni vegetariane insieme a molte altre associazioni “sovversive” in una lista nera mettendole al bando.
Ma poi, verrebbe da dire, che ci azzecca? Perché si cita l’unico vegetariano cattivo della storia, e non si dice mai “era vegetariano anche…” Einstein, Kafka, Leonardo, Mary Shelley, Gandhi, e per venire ai nostri giorni Linda e Paul McCartney, Lenny Kraviz, Margherita Hack, Carl Lewis. Oppure, al contrario, perché non si citano altre centinaia di orribili dittatori, tutti mangiatori di carne? Lo sai che anche – Mussolini, Stalin, Pinochet, Pol-Pot, Putin – era carnivoro?