Come possiamo parlare di cibo quando l’intera popolazione di Gaza muore di fame

Abbiamo riassunto i più recenti e autorevoli report sulla denutrizione a Gaza e sui palestinesi morti a causa della fame: sono sconvolgenti. E tutti i divulgatori gastronomici, dai giornalisti agli influencer, non dovrebbero tacerli. Nemmeno in nome della "leggerezza" del food.

Come possiamo parlare di cibo quando l’intera popolazione di Gaza muore di fame

Come facciamo ancora a mangiare, come facciamo a scrivere ricette e recensioni di ristoranti, quando a Gaza un’intera popolazione sta morendo di fame? Peggio: quando un’intera popolazione viene tenuta senza cibo dall’esercito di Israele? Ormai di genocidio parlano apertamente anche gli ebrei, da ultimo il grande scrittore israeliano David Grossman. Lo ha stabilito un report di Amnesty International, dopo approfondite e imparziali indagini; lo dichiarano i più noti e affermati studiosi di genocidio.

Uno degli effetti della guerra, dell’assedio, della deportazione della popolazione di Gaza all’interno di aree ristrette, è la difficoltà a procurarsi cibo (effetto della guerra, o arma di guerra? Il dubbio viene, e più avanti ci torniamo). Come fa notare la corrispondente dal medioriente del Guardian, la spiegazione è semplice: i palestinesi non possono abbandonare la Striscia; la guerra ha posto termine alle coltivazioni agricole; la pesca è stata vietata dal governo israeliano, le organizzazioni umanitarie che cucinavano a Gaza come quella dello chef  José Andrés sono state stoppate. Quindi, ogni singola caloria che viene ingerita dagli abitanti di Gaza, deve per forza provenire dall’esterno.

Un articolo di fine luglio sul sito dell’ONU denuncia la situazione di grave insicurezza alimentare e gli allarmanti livelli di morti legate alla malnutrizione. Va avanti da mesi, ma negli ultimi giorni ha avuto un’accelerazione impressionante: dei 74 casi di decesso legati alla malnutrizione avvenuti nel 2025, 63 sono solo del mese di luglio (e includono 24 bambini sotto i cinque anni, un bambino più grande e 38 adulti). E un recentissimo articolo di Al Jazeera riporta altre 6 morti per fame nelle ultime ore (secondo la testata araba il totale dei decessi legati alla malnutrizione ammonta a 175, ma qui iniziare la battaglia delle cifre sarebbe solamente assecondare gli intenti di distrazione).

Quasi un bambino su cinque, scrive sempre l’ONU, sotto i cinque anni a Gaza City soffre di malnutrizione acuta, come riportato dal Nutrition Cluster. Non è solo la fame a uccidere le persone, ma anche la disperata ricerca di cibo. Le famiglie sono costrette a rischiare la vita per un boccone. Dal 27 maggio, più di 1060 persone sono state uccise e 7200 ferite nel tentativo di procurarsi il cibo.

Secondo vari studi pubblicati su Lancet e richiamati da un articolo della stessa rivista, a Gaza l’aspettativa di vita alla nascita è diminuita di circa 35 anni nel 2024: un crollo della longevità maggiore di quello registrato durante il genocidio in Ruanda, dove l’aspettativa di vita è scesa da 42 anni nel 1993 a 12 anni nel 1994. I bambini palestinesi sono stati colpiti in modo sproporzionato. Dal 7 ottobre 2023, Gaza ha registrato più decessi infantili di qualsiasi altra zona di conflitto e ha il più alto numero di bambini con amputazioni pro capite al mondo.

La fame come arma di guerra

gaza carestia

La fame viene usata come arma di guerra: è sempre la suddetta rivista scientifica ad affermarlo, e l’articolo del Guardian che abbiamo sopra citato – significativamente intitolato La matematica della fame – opera un lavoro di scavo molto interessante, un po’ facendo i conti della serva, un altro po’ facendo un passo indietro. 

Scrive Emma Graham-Harrison: “Israele sa quanto cibo è necessario. Da decenni calibra la fame a Gaza, calcolando a monte le spedizioni per esercitare pressione ed evitare la fame. ‘L’idea è di mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame’, affermò nel 2006 un consigliere senior dell’allora primo ministro Ehud Olmert.

I palestinesi avevano bisogno in media di un minimo di 2.279 calorie a persona al giorno, che potevano essere fornite attraverso 1,836 kg di cibo. Oggi, le organizzazioni umanitarie chiedono una razione minima ancora più piccola: 62.000 tonnellate di cibo secco e in scatola per soddisfare i bisogni primari di 2,1 milioni di persone ogni mese, ovvero circa 1 kg di cibo a persona al giorno”.

Il botta e risposta tra Netanyahu e Trump sulla fame a Gaza Il botta e risposta tra Netanyahu e Trump sulla fame a Gaza

E questo al netto delle accuse, più volte lanciate e più volte smentite, secondo le quali è Hamas che ruba il cibo destinato ai gazawi o ne ostacola la distribuzione per accusare Israele: ad esempio un’inchiesta della Reuters ha scoperto un report interno dello stesso governo USA il quale afferma che non ci sono prove di simili atti. Cioè per essere chiari: anche se tutto il cibo che viene autorizzato a entrare nella Striscia, arriva effettivamente nelle pentole e nelle bocche dei palestinesi, è comunque poco.  

“Secondo i dati della stessa agenzia governativa israeliana che regolamenta il flusso di aiuti, tra marzo e giugno Israele ha consentito l’ingresso nel territorio di sole 56.000 tonnellate di cibo, meno di un quarto del fabbisogno minimo di Gaza per quel periodo”.

Alternative? I paracaduti, cioè gli aiuti buttati direttamente nella Striscia. Ma lanciare il cibo con il paracadute è costoso, inefficiente e a volte mortale. L’anno scorso almeno 12 persone sono annegate nel tentativo di recuperare cibo finito in mare, e almeno cinque sono morte quando i pallet sono caduti loro addosso.

Che fare?

protesta contro la fame a gaza

In questo quadro generale, ignorare il problema può essere una soluzione facile, e tutto sommato indolore. Tanto prima che i palestinesi vengano a bussare alle nostre porte, ce ne vuole. Ma la rimozione collettiva assume tratti patologici, e come tutte le patologie prima o poi passa a chiedere il conto. Perché purtroppo, o per fortuna, viviamo in un’epoca in cui le informazioni, le immagini, ti entrano in casa anche se non richieste, anche se non vuoi. E si stanno moltiplicando i casi di persone che soffrono di stati d’ansia e inappetenza legati ai fatti palestinesi, e alla loro negazione.

Sempre più persone nel mondo muoiono di fame: come è possibile? Sempre più persone nel mondo muoiono di fame: come è possibile?

E allora,  ripeto: come facciamo ancora a mangiare, come facciamo a parlare di mangiare, quando a Gaza un’intera popolazione sta morendo di fame? Mi ripeto, e mi sembra di essere diventato come mia mamma che diceva finisci quello che hai nel piatto, non lo sai che in Africa i bambini muoiono di fame. A parte il fatto che tutto sommato aveva ragione e che, oh, magari fossi buono e generoso la metà di com’era mia mamma, la differenza mi pare sostanziale.

Qui da una parte abbiamo una popolazione intera tenuta scientemente in stato di malnutrizione, affamata come si affamavano le città assediate nel medioevo, peggio decimata dalla morte per fame, un’arma indiretta più potente e più pulita delle bombe. Dall’altra un mondo intero – o meglio una fetta di mondo privilegiata, quello che con una castroneria storico-geografica chiamiamo Occidente – che continua a mangiare come se niente fosse. E la responsabilità è anche di chi continua a parlare di cibo come se niente fosse. Cioè noi. Noi di Dissapore qualcosa abbiamo scritto, in occasione di casi eclatanti come quando i soldati israeliani cucinavano nelle case dei palestinesi sfollati inventando ricette con i loro avanzi, o quello dei pasticcini che incitano l’esercito a darci dentro, ma davanti a una simile enormità qualsiasi cosa è poco.

Quel poco che si può fare, oltre che chiamare le cose con il loro nome, è evitare di deresponsabilizzarsi. Non sottrarsi di fronte alle proprie responsabilità, per quanto marginali, in nome della “leggerezza”. Content creator, food influencer, giornalisti gastronomici: siamo tutti coinvolti e in maniera direttamente proporzionale al numero di lettori o follower che ci danno credito. Il nostro compito è parlarne, senza nasconderci dietro al comodo manto dell’intrattenimento. E se il cibo può essere affrontato con sarcasmo, satira, ironia, la fame proprio no.