Dieta a punti, funziona davvero?

La dieta a punti è un regime alimentare ideato negli Anni Settanta da un dietologo italiano, che attribuisce un valore numerico a ogni alimento.

Dieta a punti, funziona davvero?

La dieta a punti è stata ideata negli Anni Settanta dal dietologo italiano Guido Razzoli, che voleva codificare una dieta dimagrante che fosse facile e immediata per tutti. Ecco quindi “i punti”, ovvero valori numerici associati ad ogni alimento e che vanno combinati e sommati nell’arco della giornata. Secondo voi funziona davvero? Secondo noi si deve andare dal nutrizionista.

Come funziona

L’alimentazione come pura matematica: che fatica, ma anche che cosa triste. Le caratteristiche del cibo cui il dietologo ha attribuito punti sono: grassi, calorie, porzione. Razzoli aggiunge una variante, determinata dal sesso e dal peso corporeo di una persona così che possa calcolare la giusta quantità di punti in base al proprio fabbisogno.

Fabbisogno di una persona

I punti da accumulare di giorno variano a seconda del peso corporeo e dal sesso di una persona:

  • fino a 70 kg: 18-24 punti per una donna;
  • da 71 a 80 kg: 20-25 punti per una donna, 22-26 punti per un uomo;
  • da 81 a 90 kg: 22-27 punti per una donna, 24-29 punti per un uomo;
  • da 91 a 100 kg: 24-29 punti per una donna, 26-30 punti per un uomo;
  • da 101 kg in poi: 26-30 per una donna;
  • da 101 a 110 kg: 28-32 punti per un uomo:
  • da 110 kg in poi: 30-35 punti per un uomo. Per una donna oltre i 110 kg non è dato sapere. Forse, per il dietologo Razzoli, non esistono o sono creature mitologiche Scilla e Cariddi

I punti

Una questione molto complicata, dal momento che si attribuisce appunto un punteggio ad una vastissima gamma di alimenti. Frutta, verdura, formaggi, cereali, condimenti: tutto ha un punteggio e ognuno dovrebbe districarsi in questo dedalo infinito e pitagorico per calcolarsi da solo il pranzo. Ogni giorno. Ecco alcuni esempi che variano da 0 a 20 punti (il massimo):

  • frutta: la frutta varia da 0 a 1 punto al massimo. 1 punto è attribuito ad esempio a fichi e a ciliegie;
  • ortaggi: 0 punti (ergo, a volontà);
  • carne: una fetta di prosciutto cotto è 1 punto, tre fette di bresaola sono 1 punto, 120 g di vitello sono 4 punti
  • latticini: 30 g di formaggio feta sono 2 punti, un bicchiere di latte scremato è 1 punto;
  • carboidrati: 100 g di patate sono 1 punto, una fetta di pane in cassetta è 1 punto, 50 g di pasta all’uovo son 2 punti, due cannelloni di numero sono anche 5 punti, una pizza margherita 14 punti, pizza ai quattro formaggi 20 punti

Calcolo ipotetico dell’alimentazione

Facciamo quindi un esempio concreto: la mia amica Scilla ha 30 anni e pesa 85 kg, quindi secondo la dieta a punti dovrebbe nutrirsi di 22-27 punto al giorno. Oggi potrebbe mangiare:

  • latte scremato al mattino (1 punto) + pizza 4 formaggi (14 punti) + verdure a volontà (0 punti) + 120 g di vitello (4 punti) + 2 fichi (4 punti). Sono 23 punti in totale. Avrebbe spazio per qualcosa da 1-2 punti ancora.

I nostri no

A parte la complicazione che manco quasi la dieta a zona, ma parliamo della tristezza? Dell’annullamento totale del piacere di alimentarsi? Del rievocare angoscia ogni volta che è necessario pensare al pranzo o alla colazione? Dell’infinita quantità di variabili e di cibi che magari non rientrano nell’elenco dei punti e il sistema va in tilt? Soprattutto, parliamo del rischio di malnutrizione che ne potrebbe conseguire – soprattutto se si fa di testa propria senza andare da uno specialista: siccome la dieta non va a nutriente ma a punto, poso decidere di nutrirmi con due pizze margherite in tutto il giorno perché tanto rientra nei punti assegnati a me per il mio peso corporeo.

Come se le persone fossero solo il risultato di un’addizione.