Ecocidio, più subdolo quanto efficace: come il genocidio distrugge anche l’agricoltura palestinese

Dalla Striscia di Gaza alla Cisgiordania, l'agricoltura palestinese è resa di fatto impraticabile da Israele. Abbiamo raccolto le più autorevoli inchieste e gli studi più recenti in merito.

Ecocidio, più subdolo quanto efficace: come il genocidio distrugge anche l’agricoltura palestinese

Ci sono molti modi per distruggere un popolo, come Israele sta dimostrando con i palestinesi. Il genocidio si mette in atto con la guerra aperta, i bombardamenti aerei i droni l’invasione di terra. E ci sono modi più indiretti ma non meno feroci, come ridurre alla fame un’intera popolazione: è quello che sta succedendo a Gaza dove gli aiuti umanitari, unico mezzo di sostentamento per i profughi cacciati dalle loro stesse case, vengono ostacolati e ridotti. Ed è quello che con altri metodi stanno facendo in Cisgiordania, dove i contadini vengono aggrediti e le coltivazioni distrutte, fino a demolire un intero sistema agricolo.

L’ultimo episodio viene riportato da International solidarity movement. Il vivaio Mishtil Al-Junaidy Al-Hadith a Deir Sharaf, importante distributore di sementi in Cisgiordania e cuore dell’agricoltura della regione, è stato incendiato da coloni israeliani illegali l’8 settembre 2025. Le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza mostrano sette coloni mascherati che hanno dato fuoco a diversi edifici, rubato rifornimenti e rotto le finestre dell’ufficio principale, distruggendo semi, computer e, soprattutto, preziosi data center contenenti informazioni sulle pratiche agricole nella regione.

I vigili del fuoco sono stati immediatamente informati, ma le autorità israeliane non hanno permesso ai pompieri di raggiungere il sito per 45 minuti, che in condizioni normali si trova a soli 10 minuti di auto dalla centrale. Non sono stati forniti aggiornamenti sulle indagini e non sono stati effettuati arresti. Il vivaio si trova accanto all’insediamento illegale di Shavei Shomron, uno dei primi insediamenti illegali della Cisgiordania, costruito nel 1977. 

Gli attacchi di Israele all’agricoltura palestinese

 

Poco prima del 7 ottobre 2023, i coloni illegali hanno stabilito un avamposto dall’altra parte del vivaio, e hanno intenzione di costruire una strada che lo attraversi per collegarli. Da allora, i coloni hanno attaccato il vivaio almeno cinque volte. Recentemente, hanno dato fuoco a bulldozer, un camion e un carrello elevatore di proprietà del vivaio. I coloni hanno anche bruciato ulivi, distrutto condutture idriche e attaccato i palestinesi delle comunità vicine. Filmati di precedenti attacchi, che mostrano i volti degli aggressori ripresi da Al Junaidy, sono stati consegnati alla polizia, ma non è mai stato effettuato alcun arresto.

Il vivaio produce l’80% delle giovani piante di ulivo della Cisgiordania e tutte le giovani piante di mandorlo, due colture fondamentali per la sicurezza alimentare palestinese. La distruzione di oltre quarant’anni di dati potrebbe avere un impatto di vasta portata sull’agricoltura in tutta la Cisgiordania.

Ma gli esempi fioccano. Un video di France24 mostra i bulldozer che spianano le macerie di una fattoria palestinese per preparare un futuro insediamento di coloni israeliani. E una troupe della BBC qualche settimana fa si è trovata casualmente a testimoniare uno di questi attacchi violenti, a sud di Nablus, da parte di giovani coloni armati di bastoni che hanno picchiato contadini e dato fuoco ad alberi. “All’improvviso sembravano spuntare dappertutto”, hanno raccontato. Una gang di maranza, come si usa dire adesso, solo che sti maranza hanno un potente esercito alle spalle, e non contro.

La politica delle colonie in Cisgiordania

Questo avviene in Cisgiordania, quella che sui giornali internazionali viene chiamata West Bank: si tratta della porzione territorialmente più ampia dello Stato palestinese (possiamo chiamarlo così ora che più o meno tutte le nazioni lo stanno faticosamente riconoscendo?), benché meno densamente popolata della striscia di Gaza. E attenzione, si tratta di una regione che non è governata da Hamas, ma dall’Autorità Nazionale Palestinese alla cui guida c’è il partito avverso, Fatah. 

La battaglia per la terra da coltivare, o meglio la sistematica sottrazione della terra legittimamente assegnata ai palestinesi da parte dei coloni israeliani, va avanti da decenni. Almeno dal 1967, anno della Guerra dei sei giorni, quando la Cisgiordania venne occupata dall’esercito israeliano. Da allora è partita una lenta ma progressiva e inesorabile politica di insediamenti da parte dei coloni israeliani, quali legali quali illegali. Come viene mostrato da una magnifica inchiesta/infografica della Reuters, tra insediamenti urbani, fattorie e terre coltivate, basi militari e zone di sicurezza, riserve naturali e strade comunque controllate dall’esercito israeliano, la parte di territorio effettivamente disponibile per i palestinesi pare un colabrodo, di quelli con i buchi belli grossi. E oltre ai terreni agricoli, questo stato di fatto ha un impatto enorme su un altro settore agroalimentare: la pastorizia. Gli allevamenti dei beduini che si basano sul nomadismo da un pascolo all’altro sono fortemente penalizzati da questa frammentazione territoriale, fin quasi ad essere impossibili, racconta sempre Reuters.

Alla fine dell’anno scorso il Guardian ha raccolto testimonianze di una disastrosa raccolta delle olive, uno dei punti forti dell’agricoltura locale: si stima che fino a un terzo della popolazione palestinese della Cisgiordania lavori con gli ulivi o con i loro prodotti, come olio e sapone. Tra il 1° ottobre e il 25 novembre 2024, le Nazioni Unite hanno documentato 250 incidenti legati ai coloni in 88 comunità della Cisgiordania, con 57 palestinesi feriti dai coloni e 11 dalle forze israeliane. Oltre 2.800 alberi, per lo più ulivi a crescita lenta, sono stati bruciati, segati o vandalizzati, e si sono verificati significativi furti di raccolti e attrezzi per la raccolta.

A ottobre, nell’attacco più eclatante, una donna di 59 anni è stata uccisa mentre raccoglieva le olive a Faqqua, vicino a Jenin, da un soldato che le ha sparato circa 10 colpi. Gli attivisti affermano che gli sforzi per interrompere la raccolta delle olive fanno parte di una campagna più ampia in Cisgiordania per costringere i palestinesi a lasciare le loro terre e le loro case, come preludio all’annessione.

E quest’anno si sta per ripresentare la stessa situazione: la stagione del raccolto, che va da ora a novembre, è a rischio come conferma un recente rapporto ONU. Tra le restrizioni imposte dalle forze di ordine pubblico israeliane “per motivi di sicurezza” da un lato, e attacchi violenti da parte dei coloni dall’altro, l’accesso alla terra è praticamente impossibile.  

I ristoranti di Gaza sono pieni di prelibatezze, in un video appena diffuso da Israele I ristoranti di Gaza sono pieni di prelibatezze, in un video appena diffuso da Israele

Uno studio prodotto dall’organizzazione umanitaria Insecurity insights riassume bene la terrificante situazione degli ultimi due anni: “gli agricoltori sono stati aggrediti o minacciati violentemente in almeno 276 occasioni. Oltre un terzo delle aggressioni violente o delle minacce contro gli agricoltori si sono verificati nel contesto della raccolta delle olive, e questi episodi sono aumentati drasticamente nell’ottobre 2024.

Il danneggiamento, la distruzione e lo sradicamento di ulivi e il furto di olive sono stati segnalati in almeno 215 episodi. Le strutture agricole (ad esempio, capannoni o piccoli fienili per lo stoccaggio di attrezzature agricole o foraggio) sono state danneggiate, distrutte o demolite in almeno 83 episodi. Il furto di bestiame, principalmente ovini, è stato segnalato in almeno 46 episodi. In alcuni casi sono state rapite diverse centinaia di animali.

I coloni israeliani sono stati responsabili della stragrande maggioranza degli incidenti. Una percentuale minore è stata attribuita alle forze di sicurezza israeliane, evidenziando i legami tra violenza scatenata dalla comunità e coinvolgimento dello Stato.

La violenza, unita alle severe restrizioni all’accesso ai terreni agricoli per gli agricoltori palestinesi, ha privato gli agricoltori dei loro mezzi di sussistenza, ha costretto le comunità a sfollare, ha portato all’adozione di strategie di adattamento negative e ha ridotto la sicurezza alimentare”.

E tornando a Gaza, Altraeconomia evidenzia un altro dato terrificante: la distruzione dell’86% dei campi coltivati nella striscia, e la sostanziale impraticabilità di quasi tutti gli altri. E parla apertamente di ecocidio.

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Ci sono molti modi per distruggere un popolo. E Israele li sta usando quasi tutti.