Francesco Lollobrigida e quel vizio ripetuto nel trattare con i giornalisti

Il caso Signorelli, e il modo in cui il ministro Lollobrigida ha trattato i giornalisti, ricorda molto un episodio già visto, ai tempi del tragico naufragio di Cutro.

Francesco Lollobrigida e quel vizio ripetuto nel trattare con i giornalisti

Potrebbe tirarne fuori di argomenti, il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, per commentare il caso del suo portavoce, Paolo Signorelli, accusato da una serie di chat rese pubbliche di commenti antisemiti e di una certa nostalgia per il fascismo e per il terrorismo nero. Avrebbe potuto dire che non sapeva. Che non era corretto rendere pubbliche quelle chat (private) in un momento delicato come quello pre-elettorale. Che quello che il suo portavoce faceva nel suo privato lo riguardava fino a un certo punto. Insomma, Lollobrigida ne aveva di cose da dire, e invece, come al solito, ha preferito utilizzare con i giornalisti una tattica già utilizzata in passato, con un che di passivo-aggressivo che poco si adatta al suo ruolo istituzionale.

La vicenda

Paolo SignorelliL’ex portavoce di Francesco Lollobrigida Paolo Signorelli

Signorelli, fedelissimo di Lollobrigida, ha di certo fatto passare un brutto quarto d’ora a ministro & famiglia, con queste chat infamanti uscite fuori proprio prima delle elezioni europee. In effetti, il contenuto di quelle chat – nonché la frequentazione con il capo ultrà della Lazio Fabrizio Piscicelli, noto anche come Diabolik, avrebbe fatto vergognare chiunque. E infatti Signorelli, dopo essersi autosospeso con effetto immediato, oggi rassegna le dimissioni (“per non danneggiare il governo”, dice. Mica perché si vergogna di quello che ha detto). Signorelli sostiene che quelle parole appartengono a un periodo in cui non si riconosce più, ma aggiunge anche che “il passato non si rinnega”. Insomma, al solito la condanna, le scuse, il pentimento non arrivano mai davvero, ma questa è un’altra storia. In generale Signorelli si fa da parte, per evitare (saggiamente) guai a Lollobrigida e a Meloni. Che pure se la cavavano benissimo nel gestire la situazione: tanto, la loro soluzione è sempre la stessa, ovvero la tattica del rimandare infastiditi al mittente le domande dei giornalisti.

Il precedente

Le crea frustrazione questo?“, disse Lollobrigida sorridendo a una giornalista di Piazzapulita che gli stava chiedendo un commento sui morti nel naufragio di Cutro, e sul fatto che ancora non ci fossero risposte nell’individuazione dei responsabili. Era il marzo 2023, e circa 180 persone erano appena morte in mare (molte di loro non saranno mai restituite dalle onde) dopo il naufragio del caicco partito dalla Turchia su cui viaggiavano. Lollobrigida era ministro da pochi mesi e aveva già capito come rispondere ai giornalisti per evitare posizioni scomode: con una domanda. Fastidiosa e infastidita, se possibile.

Come se i giornalisti dovessero rispondere alle domande dei ministri, e non viceversa. Le crea frustrazione non avere risposte sui morti di Cutro? Certo che sì (cosa che peraltro allora rispose la giornalista). Ma soprattutto: perché me lo sta chiedendo e non sta invece rispondendo alla domanda che le ho fatto? Perché un ministro si mette nelle condizioni di essere l’intervistatore, anziché l’intervistato, e di girare quelle domande a cui lui non vuole rispondere?

Il caso Signorelli: “Lei cerca lavoro?”

Sul caso Signorelli, Lollobrigida ci ricasca, dimostrando che quella risposta ai tempi di Cutro non era stata una “gaffe”, come spesso si ama chiamare gli scivoloni dei personaggi di spicco, togliendo loro un po’ di responsabilità per averli fatti. Quella domanda rispedita al mittente, allora come ieri, era il segnale di un modus operandi ben preciso, da utilizzare in casi di difficoltà. Come quello del portavoce del ministro, su cui gli chiede merito un giornalista dell’Ansa tra una domanda e l’altra sulle elezioni. “Passate le Europee ora deve risolvere i problemi del suo portavoce”, si sente dire dal giornalista. Lollobrigida di nuovo non risponde nel merito, ma decide di rispedire al mittente (un giornalista nell’esercizio del suo mestiere) la domanda scomoda. “Perché lei cerca lavoro? E allora non si preoccupi“.

“Una risposta inelegante”, ha detto anche Enrico Mentana. Una risposta inopportuna, diciamo noi. Che un Ministro dica a un giornalista di cosa si deve o non si deve preoccupare, e pensare che debba farlo sulla base di suoi interessi personali, è poco degno di una situazione in cui c’è rispetto reciproco dei ruoli. E questo tipo di risposte non possono essere considerate lecite. I giornalisti hanno il dovere di fare domande, i ministri hanno il dovere di rispondere. E non di rispedire le domande al mittente facendo gli indispettiti.