I voucher in agricoltura vogliono ritornare più forti esattamente come gli zombie

Nella bozza della Legge di Bilancio 2023 del governo Meloni sono rispuntati i voucher in agricoltura (e non solo). Perché non sembra essere una buona notizia

I voucher in agricoltura vogliono ritornare più forti esattamente come gli zombie

Proprio mentre l’Italia è sbattuta dal caso mediatico di Aboubakar Soumahoro, attualmente membro della Camera dei Deputati nell’Alleanza Verdi e Sinistra italiana, il governo assesta un nuovo colpo: il ritorno dei voucher del lavoro, uno strumento di formalizzazione del lavoro saltuario e temporaneo che è stato usato spesso all’interno del dibattito politico come elemento di mediazione e sburocratizzazione.

Un potenziamento dei voucher, anche detti “buoni lavoro”, è stato infatti inserito all’interno della bozza preliminare della legge di Bilancio 2023 presentata a novembre come già paventato nei programmi elettorali della coalizione di centro destra. Parliamo di “potenziamento” e non di “reintroduzione” non a caso: sbaglia infatti chi sostiene che i voucher sono stati aboliti nel 2017.

Comparsi per la prima volta nel 2003, negli anni hanno subito allargamenti e ridimensionamenti: dal tetto renumerativo annuale, alle categorie di lavoratori coinvolte, fino alla possibilità di giorni consecutivi per il quale utilizzarli. È in questo senso che si pone l’intervento del governo Meloni contenuto nella bozza di documento: aumentare il tetto del compenso da 5000 a 10000 euro annui e, tra le altre cose, fare in modo che vi possa ricorrere anche il datore di lavoro che ha alle sue dipendenze fino a 10 persone con contratto a tempo indeterminato (non più cinque).

Voucher in agricoltura: un riepilogo

La storia dei voucher in agricoltura, l’ambito di maggiore utilizzo, è una storia tutta italiana di politica e propaganda. Se ne sente parlare ufficialmente per la prima volta nel 2003 con il decreto Biagi, poi rimanovrati nel 2015, nel 2016 e infine “abrogati” nel 2017, nel 2018 convertiti a nuove formule con il Decreto Dignità. Il motivo? Evitare il ricorso abusivo da parte degli imprenditori agricoli che utilizzavano i voucher per trattare i propri dipendenti con accordi di lavoro volatili o come strumento postumo per coprire giornate di lavoro in nero. Dal 2016 in poi, per evitare questo effetto collaterale, si è cercato di regolamentare l’utilizzo dello strumento rendendo obbligatoria la dichiarazione all’INPS dell’accordo di lavoro, benché saltuario e temporaneo. Una delle altre forme cautelative, prevedeva di circoscrivere l’utilizzo del voucher a particolari categorie di persone: pensionati, studenti con meno di 25 anni di età, disoccupati, cassintegrati e persone che percepiscono il reddito di inclusione o altre risorse di sostegno del reddito nello specifico.

Le dichiarazioni di Coldiretti e Confagricoltura

La verità è che, per la maggior parte dei casi, se ne sbatte del voucher il lavoratore che il voucher non lo utilizza o l’imprenditore che non ne fa ricorso. E infatti quali sono le categorie in cui il voucher viene utilizzato? Agricoltura e turismo, entrambi settori in cui il governo entrato in carica ha acquistato molti consensi. Sono come gli zombie: quando pensi di essertene liberato, risorgono dalle loro tombe. Sposano l’iniziativa le associazioni di categoria, come Coldiretti che in questi anni ha auspicato più volte il ritorno dei voucher: da ultimo, il 7 novembre, su Ansa il presidente Ettore Prandini ha dichiarato che “L’agricoltura è tra i settori quest’anno hanno lamentato la mancanza di manodopera per i raccolti. Semplificare le procedure di reperimento della forza lavoro nei campi è importante e tornare ai voucher può rappresentare una opportunità per non lasciare le produzioni nei campi”.

Dello stesso avviso anche Confraglicoltura Veneto, il cui presidente Lodovico Giustianiani, si è espresso comunicando soddisfazione all’indomani della diffusione della bozzaSiamo felici della reintroduzione dei voucher” ha detto Giustiniani “strumento che per le imprese agricole si è rivelato assolutamente importante per far fronte ai picchi di lavoro in campagna, quali sono le fasi di raccolta, offrendoci la possibilità di assumere manodopera per brevi periodi, con una burocrazia molto ridotta”.

Lavoro saltuario vs Lavoro effimero

Torniamo dunque al caso Soumahoro e al senso di citare l’attivista per i diritti dei braccianti (anche se non tutti sono concordi sulla trasparenza ed efficacia delle sue operazioni, anche alla luce dei recenti avvenimenti): in questa storia si mostra la doppia faccia della politica nei confronti dei lavoratori, agricoli e non. Da un lato la condanna per chi sfrutta, affama e rende precaria e vulnerabile la posizione dei lavoratori, dall’altra invece la “formalizzazione” di norme che rendano il lavoro agricolo più “agevole” o semplicemente “più effimero”.

La posizione degli attivisti

Il tentativo di questo governo di decontrattualizzare l’agricoltura, precludendo così la possibilità a tantissimi lavoratori di accedere a forme di tutela come ferie, maternità, malattia, disoccupazione – l’ammortizzatore sociale per eccellenza che spetta, a chi è in possesso di un valido rapporto di lavoro in agricoltura e di determinati requisiti, al termine delle stagioni di raccolta – vuol dire scegliere di fare pagare ancora una volta ai lavoratori lo stallo finanziario di questo paese. Inoltre, in agricoltura, un settore che già vive di stagionalità, ci sono tutti gli strumenti normativi per assumere i lavoratori (anche un solo giorno) seguendo le regole e venendo anche incontro alle imprese in termini di flessibilità. Nel nostro lavoro, incontriamo di continuo aziende, anche piccole, che provano, tra tante difficoltà, ad assicurare dei contratti regolari ai lavoratorihanno dichiarato gli attivisti di Terra!, associazione ambientalista che si dedica alla sostenibilità a tutto tondo dei progetti agricoli.

Altre posizioni critiche

Le istanze critiche non si fermano qui: Renato Fioretti su MicroMega ripercorre le voci che hanno sottolineato negli anni i limiti e il mal costume suscitato dall’utilizzo dei voucher, chiudendo con parole determinanti “Tacere dell’enorme differenza che intercorre tra una prestazione di lavoro pagata con i voucher – senza contribuzione previdenziale, senza ferie, senza indennità di malattia e senza alcuna altra garanzia minima – e qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato, anche se povero, ma comunque pur sempre vincolato ai contenuti di un Ccnl, con tutto quanto ne consegue in termini di: retribuzione, tutele, garanzie e diritti, è disdicevole e, francamente, lo considero un atto indegno”. Discorso simile a quello contenuto nell’intervista apparsa su Il Manifesto al segretario della Flai CGIL Giovanni Mininni.

L’iter legislativo

Questo intervento, come abbiamo anticipato, è contenuto nel testo provvisorio della legge di Bilancio. Come spiegato meglio qui, il testo deve passare alla Camera entro il 24-25 dicembre, per poi finire al Senato che dovrebbe approvarlo entro la fine dell’anno. Se questa parte non subirà modifiche, i voucher entreranno in vigore all’inizio del 2023.