Il cioccolato non è afrodisiaco: il grande mito smontato bene

Il cioccolato non è un afrodisiaco, capiamo perché una volta per tutte. Il suo ruolo come eccitante si riduce al mito, agli aneddoti storici: teobromina, caffeina e feniletilamina contenuti nel cacao non incidono, veramente, sugli stimoli sessuali.

Il cioccolato non è afrodisiaco: il grande mito smontato bene

Mangiate quel tortino caldo dal cuore morbido prima che si raffreddi, senza tante, inutili, pantomime. Abbassate le aspettative sulle performance sessuali del/della partner: il cioccolato non è un afrodisiaco.

Vedete, sin dall’antichità l’uomo è convinto che esistano cibi afrodisiaci, alimenti capaci di risvegliare un desiderio sessuale spento o sonnolento, ingredienti in grado di trasformare gli uomini in divinità del sesso e indurre nelle donne comportamenti lascivi. A scorrere l’elenco dei cibi dotati di tali poteri, una presenza fissa è quella del cioccolato. Ma è davvero così? Il cioccolato può essere davvero classificato come cibo afrodisiaco? Siamo andati a vedere quanto c’è di vero, e per farlo siamo partiti da lontano.

Il cioccolato nel passato: celodurismo ante-litteram

Paolo Brunelli cioccolato

L’idea che il cacao stimoli la potenza sessuale discende dall’osservazione, compiuta da parte degli europei, dei costumi dei popoli mesoamericani. Considerato un bene prezioso, usato come moneta, simbolo di prestigio, il cioccolato era utilizzato dai re e dalle classi agiate non tanto come stimolante sessuale quanto come strumento per affermare la propria superiorità economico-sociale. Certo, era sempre presente nelle cerimonie di fidanzamento come augurio di prosperità; certo, le cronache riportano di banchetti dell’imperatore Montezuma, che come altri sovrani del tempo aveva un grande harem, in cui veniva servita cioccolata da bere. Ma sono più i “si dice” e le libere interpretazioni dei conquistatori spagnoli, ossessionati da un immaginario che accostava ai selvaggi costumi sessuali liberi, a creare il mito.

Tra 1600 e 1700

torta al cioccolato glassata

In particolare, è tra il 1600 ed i 1700, che la letteratura in materia fiorisce: a scorrere i trattati di medicina dell’epoca, influenzati anche dalla teoria galenica degli umori, quando si parla di cioccolato e se ne descrivono gli effetti, pare di trovarsi sospesi tra Giovannona Coscialunga e Pornhub. Il dottor Henry Stubbes, amico del filosofo Thomas Hobbes, così si esprime citando le proprietà del cioccolato: “io non dubito che voi signori londinesi, gli darete un valore superiore a tutti i vostri brodi concentrati e gelatine, alle vostre acciughe, alle salsicce, ai vostri testicoli di gallo e agnello, alle vostre salse di soia, ai vostri ketchup  e caviali, alle vostre cantaridi e ai vostri albumi d’uovo: non sono da paragonarsi al nostro rozzo Indiano (il cioccolato n.d.r.)”.

La natura calda e umida del cioccolato fa dire a Louis Lémery, nell’edizione londinese del 1704 del suo “Trattato degli alimenti” che esso “è corroborante, ristoratore e adatto a restaurare la forza indebolita e rende le persone forti: aiuta la digestione, favorisce gli umori forti che attaccano i polmoni, modera i fumi del vino, favorisce l’attività sessuale”.

Qualche decennio più tardi, Giovanni Bianchi, medico riminese, dopo aver elencato un certo numero di ricette per curare l’impotenza, accanto a corno di cervo, trucioli d’avori, radice di sassofrasso, raccomanda anche di prendere il cioccolato.

Nel 1728 Giovanni Battista Felici, medico della corte di Toscana, così scrive “Io conosco certi personaggi taciturni e gravi, i quali mediante la virtù di questa bevanda, diventano per qualche tempo grandissimi ciarlieri: alcuni perdono il sonno, e provano riscaldamento alla testa: altri si danno all’ira, e gridano altamente. Ne i fanciulli risveglia una tale agitazione , che in verun modo non posso avere quiete o fermezza”.

Se ci sia ancora qualche dubbio, ecco un esperto in materia, De Sade. Da una delle innumerevoli prigioni in cui fu rinchiuso nel corso della sua vita, il marchese Sade ordina al suo avvocato e a sua moglie che gli vengano portati scatole di cioccolato macinato e di caffè moca, créme au chocolat, scatole di mezza libbra di pastiglie di cioccolato, biscotti grandi di cioccolato, pastiglie di vaniglia au chocolat, chocolat en tablette. Il suo biografo Maurice Lever ci dice che “il palato del marchese era stimolato più intensamente dai pasticcini e dai dolci. Era capace di divorarne quantità spaventose. Il cioccolato gli scatenava degli eccessi d’entusiasmo incontenibili. Lo adorava sotto ogni forma: creme dolci, gelati, barrette”. Nel maggio del 1779 scrive alla moglie “Ho chiesto una torta e del gelato, ma desidero che sia cioccolato e dentro nero di cioccolato come il culo del diavolo è nero di fumo. E il gelato dev’essere lo stesso”. Si narra inoltre di un ballo, organizzato dal marchese nel luglio del 1772 a Marsiglia in cui, complici delle pastiglie di cioccolato “gli ospiti iniziarono a bruciare di un lascivo ardore. Il ballò degenerò in una di quelle orge per cui erano famosi i romani. Anche le donne più rispettabili erano incapaci di resistere alla furia uterina (…) e diverse persone sono morte per i loro tremendi eccessi di priapismo”.

E quindi? Il ruolo del cioccolato nel cervello

crema spalmabile gobino

Al di là dell’aneddotica, è vero che il cioccolato è afrodisiaco? Risposta lapidaria: no. Tra le sostanze contenute nel cioccolato e che hanno contribuito ad alimentarne il mito come viagra naturale, ci sono caffeina, triptofano (precursore della serotonina) e soprattutto teobromina e feniletilammina, che agiscono nel cervello provocando sensazioni di piacere. Di che quantità stiamo parlando? Considerando il fondente – che contiene maggior quantità di cacao – in una tavoletta all’85%, la concentrazione di serotonina è pari a 2,9 microgrammi per grammo. Le varianti contenenti dal 70 all’85% di cacao, contengono triptofano in quantità pari a 13,3 microgrammi per grammo.

Se il potere stimolante della caffeina è noto, il ruolo della teobromina, alcaloide, è come tutti i componenti della famiglia a cui appartiene, quello di uno stimolatore del sistema nervoso centrale. Esercita un’azione cardiotonica e vasodilatatoria. La feniletilammina, naturalmente presente nel nostro cervello (e in grado di aumentare quando ci innamoriamo), è un neurotrasmettitore che rilascia dopamina nei centri del piacere del cervello. Il punto è che essa, presente comunque in piccole quantità nel cioccolato, viene metabolizzata troppo velocemente per avere effetti sul cervello: l’effetto afrodisiaco quindi non sarebbe altro che un effetto placebo.

C’è poi l’anandamide, lipide che fa parte degli endocannabinoidi: tra le varie azioni (antiossidante, ipotensiva, immunomodulante, antinfiammatoria, antidolorifica) stimola il cervello a produrre endorfine, che – detta brevemente- producono una generale sensazione di benessere e di felicità. Da qui a sostenere però che gli effetti siano afrodisiaci, ne corre. Insomma ad scatenare o aumentare il piacere non sono tanto le sostanze contenute nel cioccolato, ma quelle contenute nel nostro cervello, che in determinate situazioni produce ormoni in grado di far aumentare il piacere.

Quindi è l’azione combinata di dopamina, liberata dal cervello in momenti di soddisfazione, di piacere o in presenza di stimoli nuovi (o meglio in anticipazione del piacere) e feniletilamina a provocare un effetto afrodisiaco. E quella del cioccolato, insomma, può essere classificata come una sorta di profezia che si autoadempie, principio fondamentale della sociologia contemporanea (e di cui si sono occupati anche gli psicologi) in base alla quale se “se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”.

Le donne, il cioccolato e il piacere sessuale

Particolarmente significativa risulta la lettura di una ricerca italiana pubblicata sul Journal of Sexual Medicine: ricerca molto citata quando si vuole mettere in luce la correlazione tra consumo di cioccolato e desiderio sessuale (come fa la Durex, per esempio). Ad un campione di 163 donne, di età media di 35 anni, è stato sottoposto un questionario anonimo circa le abitudini sessuali, ricreative e depressione. Ebbene, le donne che riportano il consumo di cioccolato hanno un più alto punteggio di FSFI (Female Sexual Function Index) rispetto alle donne che non mangiano il cioccolato. E qui in genere si fermano quanti vogliono trovare per forza una correlazione. Tuttavia, proseguono gli studiosi, quando i dati sono regolati per età, i punteggi FSFI sono simili, indipendentemente dal consumo di cioccolato. Quindi, è stato necessario “stratificare” per età per evitare che i dati venissero falsati portando così ad una falsa associazione.

Quel tortino, insomma, si è freddato. Anche oggi si…inventano altri falsi miti domani.