Nocciole turche: le condizioni di lavoro riguardano anche noi (che non li aiutiamo in casa loro)

Nocciole turche: le condizioni di lavoro riguardano anche noi (che non li aiutiamo in casa loro)

Rifugiati Siriani costretti a lavorare nei campi di nocciole turche per 10 dollari americani al giorno, portandosi dietro i figli minorenni. Accade in Turchia, primo produttore di nocciole al mondo, ma se state pensando di fare spallucce fintanto che i rifugiati non varcano i nostri confini, sappiate che non abbiamo proprio la coscienza pulitissima: le condizioni di lavoro nei campi riguardano anche noi, compresi quelli che pensano che la soluzione sia “aiutarli a casa loro”.

Tra le aziende dolciarie chiamate in causa dal New York Times nel suo reportage sulla coltivazione delle nocciole in Turchia, infatti, c’è anche la nostra italianissima Ferrero (insieme ad altri due colossi dell’industria dolciaria, come Godiva e Nestlè).

Non è una novità, in effetti, che praticamente tutte le multinazionali comprino le nocciole turche: da lì arriva il 70% della produzione mondiale e, secondo il New York Times, un terzo va a finire proprio alla Ferrero.

Ma chi lavora nei campi turchi? E in quali condizioni? Tanti sono gli stagionali, e molti di loro scappano dalla Siria: tra questi, pochi hanno il permesso di lavoro, il che significa che non hanno protezioni legali. Il New York Times riporta la testimonianza del signor Rudani, contadino fuggito dalla Siria con la sua famiglia quando i combattenti dello Stato Islamico sono arrivati nel suo villaggio. Arrivò in Turchia nel 2011 e, quando gli parlarono del lavoro nei campi di nocciole, andò a dare un’occhiata. Gli furono promesse da 80 a 100 lire turche al giorno (meno di 15 euro), che rapidamente vennero dimezzate. Sette euro per dodici ore di lavoro al giorno, all’aperto, su terreni ripidi e scivolosi, con un altissimo rischio di infortunio.

Spesso, a lavorare nei campi di nocciole turchi, sono anche bambini e ragazzi. Questo anche perché – spiega il NYT – il codice del lavoro in Turchia non si applica alle imprese agricole con meno di 50 dipendenti. A sorvegliare, dunque, potrebbero essere le aziende dolciarie, anche se è molto complicato per loro, date le enormi quantità di materia prima acquistata, monitorare tutta la filiera produttiva.

Ferrero, interpellata dal NYT, afferma di impegnarsi per proibire il lavoro minorile e stabilire standard e di sicurezza, ma c’è da chiedersi seriamente se i suoi sforzi siano sufficienti, fintanto che il suo impero continuerà a costruirsi anche sulle nocciole turche, dove la situazione è quella documentata dal New York Times e denunciata da tempo. “In sei anni di monitoraggio, non abbiamo mai trovato una sola fattoria di nocciole in Turchia in cui siano rispettati tutti gli standard di principio di lavoro dignitoso”, ha dichiarato al NYT Richa Mittal, direttore del reparto ricerca& sviluppo della Fair Labor Association, che ha svolto ricerche sulle coltivazioni di nocciole in Turchia.

Un problema non da poco, per un’azienda – come la Ferrero – che ha fatto della sua alta qualità del lavoro motivo di grande orgoglio, al punto da essere considerata oggi l’azienda ideale dove lavorare in Italia. Ovviamente, il problema non riguarda solo la Nutella, ma praticamente l’intera industria dolciaria: il bacino di materia prima offerto dalla Turchia approvvigiona infatti la maggior parte dei prodotti alla nocciola che consumiamo nel nostro quotidiano, e oggi circa un quinto della forza lavoro del Paese è impiegato nell’agricoltura, settore in costante crescita. Tra loro, sempre secondo il NYT, circa 200mila rifugiati siriani, disposti a tutto pur di scappare dalla guerra.

Non sarebbe forse il caso di iniziare ad aiutarli a casa loro anche mentre facciamo merenda?