Ogm: a che punto stiamo con le New breeding techniques (che dividono il Parlamento)

Le Tecnologie di evoluzione assistita (New breeding techniques - Nbt), dividono la nostra politica. Comparate e in parte differenti dagli OGM, ci pongono di fronte a un bivio. Facciamo il punto.

Ogm: a che punto stiamo con le New breeding techniques (che dividono il Parlamento)

Il tema degli Ogm e delle nuovissime biotecnologie in agricoltura (le New breeding techniques, Nbt per abbreviare) divide il Parlamento. E anche il resto del paese: da una parte i convinti sostenitori degli organismi geneticamente modificati (vecchi e nuovi) e, dall’altra, coloro che da sempre li combattono.

La materia del contendere sono quattro decreti legislativi in tema di agricoltura esaminati da Camera e Senato nel corso delle ultime settimane e firmati da Teresa Bellanova, ministra delle Politiche agricole prima che Matteo Renzi decidesse di avviare la crisi di governo. Tre di questi, che si occupano tra le altre cose della “commercializzazione dei materiali di moltiplicazione”, hanno tirato in ballo le New breeding techniques (Nbt), che in Italia vengono anche chiamate Tecnologie di evoluzione assistita (Tea), con cui possono essere prodotti semi resistenti a insetti e infestanti. Argomento più adatto a biologi e chimici che alla gente comune, ma quando si parla di cibo e di tutto ciò che appare in tavola gli animi ribollono e si inizia a litigare.

Le proteste da parte delle associazioni ambientaliste e di settore, da Greenpeace a Slow Food, sono arrivate dopo che i senatori della commissione Agricoltura hanno espresso il loro parere sui testi chiedendo al Governo un’apertura sull’utilizzo delle nuove biotech. Complici le proteste, qualche giorno dopo i deputati di Montecitorio hanno chiesto esattamente l’opposto, schierandosi contro ogni forma di materiale rivisto geneticamente. Ma andiamo con ordine.

New breeding techniques e OGM

La Corte di giustizia dell’Unione europea, nel 2018, ha equiparato le Nbt agli Ogm tradizionali, assoggettandole dunque alle stesse regole previste per i suoi antesignani (la loro coltivazione è vietata dal 2013). Si tratta di nuove tecniche di miglioramento genetico, con le quali vengono prodotte varietà di sementi con genoma modificato ma senza l’inserimento di dna estraneo alla pianta (genome editing).

Non sono transgenici, bensì mutagenici.

Queste tecnologie, per semplificare, renderebbero la coltura in grado di resistere ad alcuni patogeni e parassiti (ci torniamo più avanti). Nei decreti Bellanova, a onor del vero, non si parla esplicitamente degli Ogm ma di “varietà geneticamente modificate” che potrebbero potenzialmente aprire la strada all’utilizzo dei nuovi prodotti biotech nei campi, su cui però non c’è unanimità di vedute.

Quando i parlamentari hanno letto tra i faldoni “protezione delle piante dagli organismi nocivi” sono balzati dalla sedia. Perché, come ricordato, sia gli Ogm sia gli Nbt hanno l’ambizione di neutralizzare insetti ed erbe infestanti. La prima ad esaminare i quattro decreti legislativi è stata la commissione Agricoltura del Senato il 28 dicembre scorso. Nel parere conclusivo i senatori hanno invitato il governo, e in particolare il ministero (dopo le dimissioni di Bellanova la delega è stata assunta ad interim dal premier Giuseppe Conte), “a farsi promotore in sede comunitaria – si legge – di iniziative per poter disciplinare in maniera diversa Ogm e Nbt, per tutelare il modello di agricoltura del nostro Paese e al tempo stesso non impedire e anzi sostenere i processi di ricerca e sperimentazione strategici per garantirne prospettiva e sostenibilità”.

Nulla di nuovo tenendo conto che già a luglio dell’anno scorso la stessa commissione aveva avanzato una richiesta simile tramite una risoluzione (uno degli strumenti utilizzati in Parlamento per impegnare il governo ad occuparsi di determinati temi). Ma questa volta sono bastate poche righe e il vaso di Pandora è esploso. Associazioni ambientaliste e gruppi da sempre contrari agli organismi modificati hanno fatto pressing perché la richiesta del Senato non venisse accolta.

La ministra Bellanova ha respinto al mittente ogni accusa: “L’Italia ha già detto il no” agli Ogm “nel contesto delle norme pertinenti”. E questa posizione “non è in discussione”. I dlgs “hanno come unica ed esclusiva finalità quella di accorpare articoli esistenti e già in vigore che riguardano esclusivamente le fasi di registrazione e commercializzazione di sementi e altri materiali di riproduzione”. Lo spauracchio rimane, chi è contrario non si fida delle istituzioni.

A fare da stampella ci ha pensato la commissione Agricoltura della Camera, che ha discusso i decreti il 13 gennaio scorso. I deputati, andando totalmente contro a quanto scritto dai dirimpettai di Palazzo Madama, hanno chiesto al governo di mettere nero su bianco che l’aggiornamento delle misure fitosanitarie dei decreti non può riguardare gli Ogm. “L’inserimento, nello schema di decreto legislativo in esame, di disposizioni inerenti gli Ogm – si legge nel parere di Montecitorio – appare non coerente con i principi e criteri direttivi contenuti” nella legge delega da cui sono nati i decreti Bellanova, in quanto “non si fa riferimento alcuno alla necessità di disciplinare gli organismi geneticamente modificati, che rappresentano un settore omogeneo a parte, che dovrebbe, al più, essere oggetto di un distinto provvedimento”. Da qui la richiesta di introdurre una disposizione volta a escludere “espressamente” dal perimetro di applicazione del provvedimento “gli organismi geneticamente modificati”.

OGM e NBT sono la stessa cosa?

Rimane una domanda: ma Ogm e Nbt sono davvero la stessa cosa? Salvatore Ceccarelli, agronomo-genetista con una lunga esperienza al centro di ricerca ICARDA in Siria, dove ha studiato miscugli e popolazioni di sementi, sostiene che dal punto di vista evoluzionistico lo siano.

In una lettera inviata alla Bellanova, insieme all’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab), Ceccarelli ha spiegato che anche “se la tecnica (Nbt, ndr) diventi estremamente precisa e senza effetti indesiderati, e assumendo inoltre che se ne limiti l’uso a quei caratteri controllati da singoli geni, per esempio una resistenza ad una malattia o ad un insetto, si ricadrebbe nella debolezza degli Ogm” e cioè “si realizzerebbe una soluzione che è alla portata della capacita evolutiva dell’organismo che si intende controllare, creando le condizioni per la comparsa di una razza resistente”.

La Wssa (Weed science society of America) riporta che globalmente ci sono 515 casi di infestanti resistenti agli erbicidi, con 263 specie che hanno evoluto resistenza a 23 dei 26 meccanismi d’azione conosciuti e a 167 diversi erbicidi. La resistenza agli erbicidi è stata trovata in 94 colture in settantuno paesi. “Quindi la maggior parte degli Ogm – dice Ceccarelli – è destinata a combattere un nemico, le erbe infestanti, che secondo la Wssa hanno una straordinaria capacità di evolvere resistenza”.

Complice anche il cambiamento climatico: temperatura e precipitazioni influenzano la diffusione, la crescita e la sopravvivenza di malattie, insetti e infestanti in agricoltura. Insomma, Ogm così come gli Nbt non rappresentano una soluzione durevole alla suscettibilità delle piante ai parassiti. Quindi perché utilizzarli?

Il tema rimane aperto, complici anche le lungaggini istruttorie. Differentemente dalle legge ordinarie e dai decreti legge, infatti, i dlgs non vengono modificati direttamente dal Parlamento tramite gli emendamenti. Deputati e senatori si esprimono bensì con un parere che contiene spesso, non sempre, osservazioni e condizioni. Come nel nostro caso. Le richieste vengono quindi inviate al governo, che nella stesura finale dei testi – prima dell’ultimo ok del Consiglio dei ministri e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale – dovrebbe tenere conto dei rilievi del Parlamento modificando i decreti. Nella prassi, però, questo non sempre accade. Per capire come andrà a finire bisognerà attendere qualche settimana o più. Crisi permettendo.