Sakè di riso giapponese: che cos’è, come si produce, come si beve

Cos'è il sakè? Se il termine di per sé indica qualunque bevanda fermentata, in Giappone, da noi significa sakè di riso: ecco come si produce, quali sono gli ingredienti, come si beve.

Sakè di riso giapponese: che cos’è, come si produce, come si beve

Cosa sappiamo sul sakè di riso giapponese? E vi siete mai chiesti come si beve? Si serve caldo o freddo? Quanti gradi ha? Ma soprattuto, che cos’è esattamente e come si produce?

Disclaimer: stiamo parlando di sakè come bevanda ottenuta dalla fermentazione del riso, ma, come vi abbiamo spiegato in un recente articolo, parlando di “sakè italiano“, il termine sakè, di per sé, indica qualunque bevanda alcolica. Almeno in Giappone, dove il fermentato di riso si chiama nihonshu .

Prima di addentrarsi nella spiegazione sulla produzione del sakè di riso, ecco alcune piccole regole di galateo giapponese, usanze e note tecniche per berlo come si deve: la sua gradazione alcolica è generalmente tra i 15 e 17 gradi, con la possibilità di arrivare fino a 22, ma anche di trovare percentuali più basse: ciò lo rende adatto ad essere bevuto mentre si mangia, proprio come il vino, nonostante il sakè sia la bevanda alcolica non distillata con gradazione più alta.

È molto più frequente consumarlo a temperatura ambiente, senza riscaldarlo, per non alterarne il profilo aromatico, e per i tipi più pregiati, si lascia addirittura raffreddare prima di servirlo; tuttavia, caldo o freddo (dai 5° C ai 55°C, ad essere precisi) dipende dal tipo specifico di sakè.

 

In situazioni formali, per farselo versare secondo il bon ton giapponese, non bisogna mai lasciare il bicchiere fermo sul tavolo, ma porgerlo – rigorosamente con due mani, una sul fondo e una laterale, di supporto. E, nel caso vi foste chiesti come si dice “alla salute” in gapponese, si dice “kanpai“.

Cos’è il sakè di riso

sakè di riso giapponese

Oltre ad averne assaggiati diversi tipi, sia limpidi, sia torbidi-biancastri, a seconda del diverso approccio alla fermentazione (processo alla base del sakè), di svariate differenze nella tipologia di ingredienti e nella lavorazione, ho avuto modo di visitare lo stabilimento di produzione – che, stando alla tecnica del processo, si definisce “brewery” (insomma, un vero e proprio “sakeificio” e non, come si potrebbe erroneamente pensare, una “distilleria di sakè”).

Per fare il sakè, si usano l’acqua, il riso e il koji.

C’è anche la possibilità di produrlo aggiungendo alcol o altri additivi, come il glutammato, a seconda dei diversi tipi di sakè. Fra i vari tipi di sakè esiste, però, un termine che indica l’utilizzo esclusivo dei tre ingredienti base, chiamata junmai, la tipologia più “pura” in assoluto.

Con una ricetta basata su così pochi ingredienti, potete immaginarlo, ogni piccola accortezza è una determinante sul prodotto finito. Non esiste nemmeno un vero e proprio standard produttivo, né tantomeno un sistema di classificazione equivalente alle nostre Doc.

Gli ingredienti del sakè

sakè di riso giapponese

Acqua, spore di koji, riso (parlando di sakè di riso, chiaramente), sono gli ingredienti della bevanda alcolica giapponese più conosciuta da questa parte del mondo.

In generale, la durezza dell’acqua (un indice influenzato dalla presenza del calcio e del magnesio) è da tenere in considerazione, proprio perché questa materia prima costituisce circa l’80% del prodotto; si utilizza generalmente un’acqua di durezza media.

Per quanto riguarda il riso, il tipo ideale è il Japonica, ma fra le oltre 500 varietà giapponesi riconosciute e le 270 per uso alimentare, soltanto 100, approssimativamente, si prestano alla produzione del sakè. Si tratta di una tipologia molto glutinosa, che viene raffinata per essere più digeribile dai microorganismi e, perciò, resa adatta alla fermentazione; già a questo punto, più si va ad agire sul chicco e più assorbe acqua nelle fasi successive: differenze in questa fase cambiano notevolmente lo stile del sakè.

La parte del protagonista, però, è riservata al koji: esistono tre tipi principali di questa muffa, ma quello adatto al sakè è l’Aspergillus Oryzae, chiamato anche koji giallo – solitamente preparato in ambienti controllati, in un processo a sé, e, alle volte, anche custodendo ricette di famiglia e modi di farlo più tradizionali. È l’ingrediente con maggiore influenza sul gusto del sakè, poiché agisce sul processo di saccarificazione (produzione di glucosio) e di produzione di enzimi per la fermentazione – due processi chimici che, per il sakè, al contrario della birra, avvengono in contemporanea, grazie all’aggiunta di koji e lievito agli altri ingredienti.

Il processo di produzione

sakè di riso giapponese

Ecco i passaggi principali della produzione di sakè: il riso viene prima raffinato, poi lavato – quest’ultima è una parte importantissima, non solo per questioni d’igiene, ma anche per gusto finale e consistenza nella fase successiva: potete anche sperimentare a casa, per testare le differenze fra un riso sciacquato a lungo e uno no.

Successivamente, il riso viene lasciato ad assorbire l’acqua; dopodiché, avviene la cottura al vapore e una parte di riso può essere prelevata e fermentata a parte; dopo averlo immesso il koji, aver inoculato il lievito ed aggiunto un’altra percentuale di acqua, durante diversi passaggi ripetuti nei giorni e in quantità sempre maggiori, il tutto viene lasciato a fermentare in ambiente controllato; nelle fasi seguenti il sakè viene pressato, filtrato, pastorizzato e – solo per alcuni tipi – può essere anche invecchiato.

Oltre alla grande variabilità, secondo l’approccio alle diverse fasi, è possibile domandarsi anche se per il sakè esista un concetto di terroir, chiamando in causa l’influenza della coltivazione del riso, del tipo di acqua utilizzata, delle infleunze dell’ambiente esterno sul koji. Insomma, il mondo del sakè è piuttosto vasto e ancora da esplorare.

[Foto | Micaela Piccoli]