Nell’eterna disputa gastronomica con i francesi ci intestardiamo su vini e formaggi, giocando – probabilmente – nel loro campo. Ma c’è un prodotto su cui la competizione scompare: i salumi. L’arte norcina, forse originaria del centro sud Italia, è attualmente diffusa a macchia d’olio su tutto il territorio peninsulare; mentre, salvo qualche sporadica apparizione, possiamo dire che il resto dei Paesi europei ne sia privo. Eppure, tra le eccellenze enogastronomiche nostrane, i salumi sono sempre nominati un po’ in sordina, complice forse il fatto che negli anni sono stati accusati di essere il cibo non sano per eccellenza.
Grassi, nitriti, sale
Troppo sale, troppi grassi e soprattutto i nitriti, i conservanti che sono potenzialmente cancerogeni. Chi si occupa di alimentazione sana cita spesso il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2015 che annovera le carni lavorate (e quindi tutti gli insaccati e i salumi) nel gruppo 1 delle sostanze cancerogene, cioè il gruppo pericoloso, da evitare. Tuttavia non tutti sanno che alcuni dei prodotti di eccellenza della norcineria italiana, ad esempio il crudo di Parma, il crudo di San Daniele e quello di Sauris (tutte D.O.P.) vietano nel loro disciplinare l’uso dei nitriti.
Altra cosa da sapere è che il grasso presente nei salumi, crudi e stagionati, è composto da una combinazione di acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi. Ad esempio, nel prosciutto crudo di Parma, su 100 grammi di prodotto, si trovano circa 6,15 g di grassi saturi, 8,40 g di monoinsaturi e 1,60 g di polinsaturi (dati dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione). I grassi monoinsaturi e polinsaturi presenti nei salumi possono avere effetti positivi sulla salute, contribuendo al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue.
Diverso invece è per il sale, di cui effettivamente i salumi sono portatori: basti pensare che il crudo si situa tra i 4,5 e i 6 grammi di sale ogni 100 grammi, cioè con un etto di prosciutto si è consumata l’intera dose di sale giornaliera per un adulto, raccomandata sempre dall’OMS (5 g). Possiamo dire che da questi dati si può dedurre che un consumo solo sporadico, di prodotti DOP di alta qualità, è accettabile anche per chi segue uno stile di vita sano?
La consapevolezza e la cultura
In un mondo in cui la consapevolezza alimentare si sta rapidamente trasformando in una serie di manie del controllo che barcollano tra stati d’ansia e abbandono ai flussi delle influenze della pubblicità, la cultura dei salumi sarebbe una benedizione. Eppure, a differenza ad esempio di quello che accade per i formaggi, la formazione sui salumi è quasi nulla.
E invece conoscere la differenza tra un lattonzolo e un verro, o sapere quanti chili pesa un maiale prima di andare al macello, o quante sono le tipologie di prosciutto crudo che si fanno in Italia e le relative aree di produzione, o ancora quali sono le condizioni di vita della scrofa incinta e dei maiali non ancora svezzati, dovrebbe essere parte del bagaglio culturale di chi si occupa, in un modo o nell’altro, di cibo. Ma anche di chi quel cibo lo mangia.
Come nella migliore tradizione da settimana enigmistica, ecco le risposte alle domande qui sopra: il lattonzolo è il cucciolo che viene ancora allattato, mentre con verro si identifica l’animale da riproduzione; il maiale si manda al macello quando pesa tra i 100 e i 180 kg, a seconda di cosa bisogna produrre. Di prosciutti crudi in Italia ce ne sono 11 con marchio D.O.P o I.G.P., tutti con una diversa zona di produzione e diverse tecniche di preparazione e stagionatura. Per quanto riguarda le condizioni di vita degli animali, è sempre utile sapere che gli allevamenti italiani ufficiali garantiscono ALMENO il rispetto delle cosiddette “Cinque Libertà” (Five Freedoms) sviluppate nel Regno Unito nel 1965 e successivamente adottate come standard internazionale per il benessere animale. Ovvero: libertà dalla fame e dalla sete; libertà dal disagio; libertà dal dolore, dalle lesioni e dalle malattie; libertà di esprimere comportamenti naturali; libertà dalla paura e dallo stress.
L’accademia di formazione sui salumi (e sui formaggi) esiste
C’è un imprenditore nel campo della salumeria italiana che riguardo alla questione sull’ignoranza degli italiani sui salumi si è fatto più di una domanda. Cludio Cimardi ha 50 anni di esperienza nella produzione di salumi per la GDO, con due stabilimenti a Langhirano (PR), anche se è originario di Viadana (MN), cittadina più famosa per il rugby che per le carni conservate. Inutile dire che Parma e il parmense, hanno assunto per la produzione dei salumi italiani il ruolo di capitale, per quantità di iniziative industriali e artigianali, diversificazione dei prodotti e anche una certa potenza di comunicazione, quella che i consorzi sanno dare.
La risposta che Cimardi si è dato è stata fondare un ente, UniSaFo, che propone un percorso di Formazione Superiore alla Conoscenza di Salumi e Formaggi, con sede ovviamente a Parma. Destinatari gli addetti ai lavori: ristoratori ma soprattutto salumieri e venditori di prodotti caseari, dalle piccole botteghe di quartiere fino alla GDO, con cui la scuola ha intessuto un legame particolare. Una scuola totalmente indipendente dai produttori, che ha lo scopo di valorizzare la produzione nazionale a partire dalla vendita della stessa, facendo divulgazione dal bancone e contribuendo a dismettere quei falsi miti che salumi e formaggi portano con sé. Il grasso del prosciutto che spesso ci facciamo eliminare dal salumiere è insaturo, per esempio, e molto spesso le croste del formaggio si possono mangiare (e sono buone): basta riconoscerle.
Salume, il volume
Lo steso Cimardi è anche coautore del libro “Salume. Arte italiana”, pubblicato nel dicembre 2024 da Maretti Editore che riassume i concetti che si studiano alla scuola di formazione.
L’altro co-autore è Federico Scalici, che ha collaborato con Giorgia Colella alla redazione del “Vademecum della tecnica produttiva dei salumi italiani”, inserito nel libro. In termini alla portata di tutti, e con belle foto patinate, il mondo dei salumi viene illustrato a partire dalle tecniche di allevamento, passando per la macellazione e i vari tagli, a mano e a macchina, e ancora ci sono utili approfondimenti sulle muffe nobili e il loro ruolo nella stagionatura (oggi che si parla così tanto di fermentazioni), ma anche sull’importanza del budello e le relative tecniche tradizionali. Gli aspetti più strettamente legati alla salute e alle qualità nutritive sono invece state affidate a Luca La Fauci, biologo nutrizionista e dottore in Scienze e Tecnologie Alimentari. Infine è presente una sezione storico geografica curata da Giovanni Ballarini, già presidente dell’Accademia Italiana della Cucina.
Nessuno, prima d’ora, aveva pensato di proporre una enciclopedia dedicata ai salumi italiani e dotata di questo grado di completezza. L’auspicio è che iniziative di questo tipo si moltiplichino, non solo per questioni di orgoglio patrio, su cui si può pure soprassedere, ma perché quando aumenta la consapevolezza del consumatore, la proposta del mercato è sempre costretta a migliorare.