Birra artigianale: ma davvero se una fiction dice che fa schifo può essere diffamazione?

Birra artigianale: ma davvero se una fiction dice che fa schifo può essere diffamazione?

La Corte di Cassazione ha assolto in via definitiva la Rai, dopo le accuse di diffamazione mosse dall’Associazione Unionbirrai in merito alla fiction “Tutto può succedere” proposta per tre stagioni, dal 2015 al 2018.

Già il Giudice di pace aveva ravvisato un “illecito diffamatorio” condannando la Rai a pagare 3000 euro, ma poi il Tribunale di Milano ribaltò il verdetto scagionando la televisione di Stato nel 2020.

Certo, è il caso di ammetterlo, acqua o meglio si potrebbe azzardare a dire “birra” ne è passata sotto i ponti, ma la sentenza è chiara: non è reato scambiarsi battute critiche o colorite che dir si voglia sulla birra artigianale sul piccolo schermo. Del resto la fiction, si sa, è opera di fantasia per cui i commenti che si scambiano i protagonisti non denigrano né il prodotto, né tanto meno chi lo produce. E fino a qui siamo tutti d’accordo, partendo dal presupposto che nel mondo della finzione tutto ha il bene placido del lecito.

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Le battute incriminate si riferiscono all’episodio 9 della fiction andata in onda il primo gennaio 2017 quando gli attori Pietro Sermonti e Alessandro Tiberi bevono nel locale Ground Control e affermano parlando tra loro:

“Avevi ragione: questa birra non vale quello che costa. Ma neanche un po’, non si può bere! Assaggia bene, per favore: dimmi se è potabile questa bevanda…”.

“Fa schifo! Mo gli ho promesso un bell’ordine a Loris, come facciamo? Prima aveva tutte birre normali, quelle che si trovano, poi si è buttato sulle birre artigianali. Vatti a fida’!”.

Ma seppur siamo tutti d’accordo che, per i motivi di cui sopra, dicevamo, non si può parlare di diffamazione, è pur vero che un mezzo di comunicazione di massa come la televisione dovrebbe forse fare un po’ più di attenzione nel far passare certi concetti di fronte al grande pubblico. Non dico di escluderli se sono parte importante nello sviluppo della narrazione, sia chiaro, ma basterebbe forse imparare a moderare i toni nel rispetto non solo della produzione artigianale italiana, ma anche del grande valore che il comparto dell’enogastronomia ricopre nel nostro Paese. Se la fiction, grande faro della produzione televisiva nostrana, aiutasse a valorizzare con qualche carezza in più il patrimonio agroalimentare italiano che ci rende unici nel mondo, ne gioveremmo tutti, anche i tribunali che di certo hanno problematiche più complesse a cui far fronte.