Bosio & Caratsch: storia del più antico birrificio italiano, che ritorna alla vita

È un birrificio artigianale, Soralamà, a riportare alla vita Bosio & Caratsch, primo birrificio d'Italia in ordine di tempo, naturalmente industriale. La storia.

Bosio & Caratsch: storia del più antico birrificio italiano, che ritorna alla vita

Torino città di birra e non di vino. L’avreste mai detto? Nel 1865, a Torino, si contavano 114 birrerie e la produzione di birra era fortemente radicata nella città. Lo testimonia la storia della Bosio & Caratsch che può essere considerato, a tutti gli effetti, il più antico birrificio italiano il cui marchio, da pochi giorni, è tornato sul mercato.

Ma andiamo con ordine: le cronache del tempo raccontano che il consumo di birra in Piemonte rimase per secoli confinato sulle tavole delle famiglie aristocratiche: alla corte sabauda nel Cinquecento viene riconosciuto l’utilizzo di un bicchiere riservato proprio al consumo di “cervogia” che era molto amata dal duca Emanuele Filiberto. Ma sarà nell’Ottocento che la birra entrerà nelle abitudini alimentari della popolazione grazie agli stabilimenti birrai che sorsero in borgo San Donato, dove arrivava l’acqua del Canale di Torino utilizzata anche per produrre energia idraulica a basso costo.

Bosio & Caratsch: le origini e la chiusura

Il primo di tutti, dicevamo, fu Bosio & Caratsch: lo fondò l’imprenditore svizzero Giacomo Bosio che iniziò a commercializzare birra in città nel 1831, come racconta la Gazzetta Piemontese, spiegando che Bosio rilevò la fabbrica di birra di Martino Vighetti in contrada San Maurizio, vicino all’attuale corso Valdocco.

Il vero birrificio venne poi aperto nel 1845 in via della Consolata e, divenuto Bosio & Caratsch fu poi trasferito in corso Principe Oddone 81 dove lo stabilimento venne ampliato su progetto di Pietro Fenoglio. Premiato sia all’Esposizione nazionale di Torino del 1898 che a quella Internazionale del 1911, lo stabilimento di distinse in città anche per la grande area dedicata alla somministrazione al pubblico con un ampio giardino e un grande salone. Demolito negli Anni Venti e ricostruito in via Principessa Clotilde 1, nel 1937 fu acquistato da Pedavena e rimase in attività fino al 1969.

Poi l’oblio (e pensare che a fine Ottocento la Bosio & Caratsch impiegava 30 operai producendo, su una superfice di 8 mila metri quadrati, 7 mila ettolitri di birra all’anno) fino a pochi giorni fa, quando il birrificio Soralamà di Vaie (siamo in Val Susa), dopo averne acquistato il marchio, ha messo in produzione quattro birre: la Helles (4,7° alc), ideale per dissetare e leggera; la Marzen (5,5° alc) una birra ambrata con ricchi aromi e gusti di malto che ricordano la crosta di pane. Poco amara e morbida, è prodotta con il tradizionale sistema di ammostamento in decozione che accentua le caratteristiche maltose; la Blanche (5,0° alc) prodotta con il 50% di frumento. Dal colore molto chiaro è leggermente torbida con schiuma abbondante e compatta e una buona effervescenza; estremamente fresca e beverina anche grazie al retrogusto leggermente acidulo apportato dal frumento; la Ipa (5,5° alc), birra chiara ad alta fermentazione realizzata con luppolo statunitense “Simcoe” in bollitura e dry-hopping: dagli aromi resinosi tipici che ricordano i frutti esotici e gli agrumi, lascia in bocca un finale amaro e secco.

Le birre possono essere degustate oltre che a Vaie (To) e in numerosi locali torinesi, anche nel bar del rinnovato Motovelodromo che già dagli Anni Venti serviva la birra di Torino.

Gli altri marchi storici di Torino: Metzger, Boringhieri e Menabrea

Ma a Torino, in quegli anni, nacquero anche Metzger (1848) e Boringhieri (1879), quest’ultimo nei pressi di piazza Adriano, in una zona che all’epoca era considerata periferica. Karl Metzger nel 1862, dalla zona di Borgo Dora, decise di spostare i suoi impianti proprio in via San Donato, ma sarà grazie all’ingresso in azienda del figlio Giuseppe nel 1888 che il commercio fiorirà. Il nome di questa birra è poi fortemente legato, nella storia cittadina, a quello del mondo futurista: Nicolay Diulgheroff ne firmò le campagne pubblicitarie; al Santopalato, il ristorante futurista di via Vanchiglia 2, la servivano al fianco di piatti simbolici e “sovversivi”. Da alcuni anni lo storico marchio è stato acquistato e riportato in auge all’interno del birrificio di via Catania 45b dove si producono, tra le altre, la Matzger Lager Premium (dal 1848 la Lager di Torino) o la Metzger Weiss, fresca, con note acidule e citriche.

La storia della Boringhieri è invece legata a quella di Bosio & Caratsch, che divennero soci dell’azienda fondata da Andrea Boringhieri, marito di Anna Bosio, sorella dei magnati della birra. Il grande edificio di mattoni rossi divenne un vero riferimento per il quartiere: oltre alla fabbrica possedeva un birrificio all’aperto, mentre l’orologio posto sulla torre segnava l’ora per tutti gli abitanti della zona che, non a caso, prese il nome di Boringhieri. Fino agli Anni Venti la birra visse un momento di grande lustro in città per poi iniziare il declino nel decennio successivo che portò alla chiusura di numerosi stabilimenti come quello di piazza Adriano che smise la produzione nel 1939. Abbattuto nel 1961 lo stabilimento divenne famoso non solo per l’architettura dell’edificio, ma anche per il reparto “malteria” dove dagli Anni Venti avveniva la maltatura dell’orzo, e anche perché qui nacque (si narra) la moda delle chellerine, le cameriere che ricordavano le kellnerin delle birrerie bavaresi.

Il più antico birrificio italiano ancora in attività è invece Menabrea, fondato a Biella nel 1846 per volere dei fratelli Caraccio e che non ha mai interrotto la sua produzione. Fu il biellese Quintino Sella, allora ministro delle finanze, a portare questa birra a Torino e a farla conoscere negli ambienti politici cittadini. Una curiosità: durante il XIX secolo Menabrea non aveva ancora un proprio marchio di riferimento e infatti, fino al 1871, sarà la scritta in rilievo sulle bottiglie di vetro a connotare lo stabilimento e i suoi prodotti.