Comprereste il vino di un razzista?

L'interrogativo non è retorico: se l'etica in vigna (almeno dichiarata) è tanto importante ad oggi nel veicolare i nostri acquisti, lo stesso vignaiolo può essere razzista, o fascista, senza condizionarci?

Comprereste il vino di un razzista?

La domanda trae spunto dal post Facebook di un noto vignaiolo friulano, in cui manifestava un maiuscolo apprezzamento nei confronti del generale Vannacci: comprereste il vino di un razzista?.

Non vorrete rispondere a una domanda con una domanda: come “chi è il razzista?”. Ma sì dai, quel tizio che ha scritto un libro talmente farneticante che al confronto Vittorio Feltri sembra una persona moderata. Ecco, tra i tanti ‘ragionamenti’ di questo militare – alcuni di una gravità tremenda umanamente parlando, essendo nel 2023 e non nel 1400 – c’è anche sostenere che la pallavolista Paola Egonu non abbia i tratti somatici tipici di un’italiana e che l’azione di distinguere tra italiani ‘da millenni’ e italiani di colore è solo “indice di tutela di un patrimonio culturale vecchio di millenni”. Strano non abbia citato anche Ivan Zaytsev: insomma, una è nata a Cittadella da genitori nigeriani, l’altro è nato a Spoleto da genitori russi, neanche lui avrebbe nulla a che spartire con i tratti somatici tipici italiani. Fosse il colore della pelle il tratto somatico sbagliato..

Ad ogni modo, quello è il ‘pensiero’ di Vannacci. Il noto vignaiolo lo condivide su Facebook, aggiungendoci un fiero, autarchico e maiuscolo “GRANDE”. Vignaiolo recidivo sull’argomento: sono giusto passati dieci anni da quando, sempre su Facebook, commentò una notizia sulla ministra Kyenge dandole della “sporca SCIMMIA nera” (sic), più altri epiteti che credo possiate immaginare (altrimenti c’è sempre Google a dare una mano).

Bene, questi non sono due indizi che fanno una prova, sono proprio una sentenza: il vignaiolo è razzista. E data l’enorme distanza di valori umani fondamentali che mi separa da questo vignaiolo, posso dire con sicurezza che non comprerò mai un suo vino. Non mi viene neanche curiosità di assaggiarne alcuno, tanto è grave per me il suo pensiero (sulle persone di colore come su tanti altri argomenti; basta farsi un giro sul suo profilo Facebook). È parte del processo di acquisto di un bene, qualsiasi bene, attribuire un valore positivo anche all’azienda che lo produce, e i suoi post pubblici non mi consentono di dare soldi a quel vignaiolo, neanche se facesse il vino più buono del mondo (tranquilli che non è questo il caso).

E voi, se veniste a conoscenza di una mostruosa distanza morale tra voi e un vignaiolo, riuscireste comunque a compartimentare il tutto e a comprare il suo vino?

Il discrimine fondamentale sta tutto nel venire a conoscere le convinzioni o i comportamenti di un generico vignaiolo. Perché il punto è anche questo: non è importante chi sia il razzista, in questo caso pure famoso nel settore. Come lui ce ne sono parecchi. 

Magari anni fa ciò poteva essere difficile e la reputazione di una cantina poteva essere rovinata da dicerie non verificabili. Oggi però, avendo a disposizione molti canali social dove diffondere i propri pensieri e le proprie iniziative, si deve essere assai più accorti nelle proprie esternazioni date le implicazioni commerciali che queste possono avere (molte cantine adesso stanno proponendo fantastiche ed esclusive esperienze di vendemmia, ovviamente facendo pagare i partecipanti invece di pagare loro la prestazione d’opera; anche di queste cantine non penso granché bene).

E se esplorando il profilo social di un vignaiolo notaste dei pensieri o dei commenti gravemente razzisti, sessisti, violenti o altro, sareste in grado di passarci sopra ed apprezzare ugualmente la qualità dei suoi vini?