I Super Vino Bros sono seguiti da oltre 220 mila persone. La formula è sempre la stessa: video brevi, agili, in formato amico a quelle che sono le necessità di Instagram. Degustano vino alla cieca, e non ci azzeccano mai.
Marie Cheslik di mestiere fa il wine educator, e in passato è stata sommelier a Elske, ristorante a stelle e strisce forte della stella Michelin dal 2018. Sul suo angolo personale nella vetrina dei social sono puntati gli occhi di poco meno di 100 mila persone. Apre i suoi video sempre con la stessa frase: “Sono le otto del mattino, e ho 60 secondi per indovinare di che vino si tratta”. Non indovina (quasi) mai.
Degustare alla cieca e la paura di sbagliare

Il copione nel video dei Super Vino Bros è relativamente semplice, e obbedisce alla regola del squadra che vince non si cambia. Si versa, si discute, si prova a indovinare, si sbaglia. Ogni video raccoglie centinaia di migliaia di visualizzazioni, e il mio personale sospetto è che non caricheranno mai un video dove il guessing game si conclude con un successo. Il fallimento, o più precisamente la vulnerabilità, fa parte del loro codice; e il pubblico lo sa. Il pubblico li ama.
La degustazione alla cieca è un gioco divertente e utile che pesca dalla competenza e la trasforma in un gioco di prestigio digeribile da tutti. È un gioco che può spaventare, perché anche se tra gli addetti ai lavori è più o meno ampiamente accettato che il risultato è secondario, il timore dello strafalcione è sempre vivo. Quando questo prende il sopravvento il gioco diventa rito o, peggio ancora, sacramento riservato ai soli iniziati.
Insomma: sbagliare fa paura, e quando si parla di vino forse un po’ più del solito. Diventa facile nascondersi dietro tastevin improvvisati spille o diplomi stampati in Terra d’Albione e lasciar parlare loro, perché agli occhi di qualcuno – forse i non-addetti ai lavori più degli appassionati e professionisti – uno scivolone è sintomo che alla fine forse di vino ne capisci meno di quanto sembri. Il re è nudo, e tutti ridono.
So di non sapere, diceva Socrate. The Less I Know the Better, dice Tame Impala. I Super Vino Bros sbagliano sul più affollato palcoscenico dell’età contemporanea, ossia la vetrina dei social, e nel mostrare la loro vulnerabilità hanno costruito un marchio e raccolto un successo considerevole. Ma quindi?
Cosa si porta a casa il mondo del vino?

Può esserci una certa convenienza nell’immaginare che il consumo di birra indossi la felpa, e che quello di vino l’abito. I SVB indossano la prima, parlano del secondo e vanno forte: se non fosse che stiamo parlando di stereotipi, sarebbe un cortocircuito. Cheslik, citata in apertura, veste e comunica in maniera simile e vanta risultati paragonabili. Il dado è tratto.
Vien da chiedersi se questi contenuti non aiutino ad avvicinarsi al mondo del vino più del polverorisissimo secco-caldo-morbido che echeggia nelle sale di casa AIS. Il vino che indossa la felpa è un vino che parla un linguaggio più comprensibile, forse meno giudicante, certamente più capace di generare quella curiosità che poi diventa mamma della passione che, a sua volta, può alimentare il consumo.
Che il mondo del vino stia attraversando un periodo complicato non è certo una notizia dell’ultima ora. Cortocircuiti come questi, slegati dall’ego di chi assaggia e agili per forma e contenuto, fanno formazione e portano (o possono portare) alla formazione più ortodossa; e potrebbero rappresentare un modo per reimmaginare un linguaggio – quello del vino, per l’appunto – stanco. Ma come?
Viene sinceramente difficile – ma non necessariamente impossibile – traslare quanto visto nell’organizzazione di eventi, ad esempio. Immaginare una masterclass con blind tasting in cui Gabriele Gorelli MW sbaglia a indovinare è difficile, ma forse interessante e certamente divertente.
Forse si tratta di un formato destinato a rimanere sugli schermi degli smartphone. In Italia Alberto Rabachin fa già qualcosa di simile: degustazioni alla cieca dove si ragione e sovente si sbaglia, e di fatto il suo lavoro produce risultati simili a quelli dei SVB e di Marie Cheslik. Insomma: gli strumenti per tamponare il periodo difficile potrebbero esistere, ma forse per brandirli sarebbe più opportuno vestire la felpa e farsi cadere un po’ di polvere di dosso.
