I cocktail pronti sono qui per restare, ma davvero?

L'alienazione da pandemia ci sta dando al cervello o siamo davvero convinti che i cocktail pronti, i ready to drink (che derubricano la mixology al buon bere in casa), siano un trend destinato ad entrare tra le nostre abitudini consolidate?

I cocktail pronti sono qui per restare, ma davvero?

Il 2021 non pare portare con sé grandi novità sul 2020: ordinare la spesa su internet è diventato un po’ più normale di prima e ci siamo abituati persino a consumare il fine dining assumendoci il fardello dell’impiattamento, in attesa di tempi migliori. E’ solo questione di tempo, ci diciamo. Più difficile farsi una ragione dei cocktail pronti, i ready to drink, in ragione di un’opinione ormai consolidata dalla stampa gastronomica e finanche generalista.

Sentenzia Il Post che “I cocktail pronti sono qui per restare“, e Eater gli fa l’eco da San Francisco: “To-go cocktail could be here to stay“.

Le argomentazioni sono su per giù le stesse: i numeri delle aziende incipienti che crescono e una nuova abitudine, quella dei cocktail pronti, “destinata” a sedimentarsi anche dopo la pandemia: perché la mixology in busta è pratica, leggera (pensate agli aerei) e non smetteremo di certo di ordinare a domicilio.

Attenzione, non parliamo dei cocktail “smontati” (cioè ogni ingrediente nella sua singola bottiglina, preferibilmente di vetro): parliamo proprio dei cocktail già miscelati, che alcune aziende hanno lanciato sul mercato e molti cocktail bar si sono ritrovati a proporre giocoforza ai loro clienti, inventandosi packaging accattivanti (o almeno provandoci), che includono il biodegradabile e degli slogan pseudo-accattivanti. Vi arrivano a casa, tramite corriere, oppure attraverso i vostri locali preferiti.

Prima che ci chiamiate detrattori: cocktail bar, siamo dalla vostra parte. Più di una volta ci siamo battuti strenuamente affinché il vostro lavoro fosse chiamato in Italia “accoglienza notturna” e non banalmente “movida” come qualche autoincoronato imperatore vuol far passare. E sì, c’è da dirlo: i cocktail bar, gli speakeasy d’ogni sorta sono stati decisamente le vittime sacrificali, una categoria letteralmente falciata via. A poco è servita la breve pausa estiva, tra un divieto e l’altro: ben presto la scure del sono-quelli-i-posti-dove-va-il-virus si è abbattuta su di loro per primi e su poche altre cose (tipo i cinema e i teatri, per dirne una).

E non c’è dubbio che i cocktail già miscelati, sottovuoto e con tanto di sigillo dello Stato, rappresentino un bel business durante la pandemia. Dopotutto parliamo di un mercato che fino a un anno fa aveva ben pochi motivi per esistere: i pochi che ci si sono buttati dentro hanno trovato campo libero.

In tanti avrete notato NIO Cocktails, che mette a disposizione box da 5 cocktail o da 10 cocktail a prezzi davvero concorrenziali. Ma anche tanti – tantissimi bartender che si sono “riciclati” proponendo la loro idea in bustina. Via libera dunque a Negroni, Daiquiri, Margarita in bustina già miscelati, vi basterà avere il bicchiere giusto a casa per sentirvi come al vostro bancone preferito… siamo proprio sicuri?

Alcuni di voi avranno da obiettare, li sento già: cos’altro dovevano inventarsi per andare avanti? No, la soluzione non ce l’ho, però ciò che c’è sul piatto non è esattamente esaltante: parlo di versare un cocktail da una bustina (forse biodegradabile) ad un bicchiere, un po’ come versare l’acqua su un analgesico quando ho il ciclo e glu! giù d’un colpo. Mi fa tanto medicina, non rilassatezza.

E ancora, direte: ma tante cose si sono ri-affermate come delivery! La pizza, lo stellato? Differentemente da una pizza – dove da sempre siamo stati abituati alla logica del “mangiamola nel cartone, a casa”, il cocktail ha sempre avuto qualcosa in più, un fattore sociale imprescindibile: posso dire di aver visto tante pizzerie di valore uguali, quasi replicate su se stesse, ma di non aver visto mai due cocktail bar di alto livello davvero uguali. La magia del bere miscelato spesso si consuma al bancone, osservando il bartender armeggiare con questo o quel misurino o questa o quella spezia, in una sorta di alchimia a noi sconosciuta e a loro molto nota.

E poi, sì: il cocktail era (è, ci voglio sperare ancora passi questa pandemia) composto da una dose inscindibile di socialità, quella socialità vituperata che ora non ci è possibile praticare. Basterebbe già questo per far perdere fascino. Difficile pure da ricreare l’atmosfera cocktail bar a casa, visto che non possiamo invitare più di due persone alla volta a noi non congiunte.

E vogliamo parlare del rito, infine? Dopo lustri di storytelling sulla gestualità e sul savoir faire, vogliamo rinnegare l’abilità del barman nel giustificare 10 euro di cocktail con le piroette da mixology o con l’attenzione che ci dedica(va) nell’ascolto, quando noi clienti chiediamo questa o quella variante, sperimentando amari e mezcal scelti più o meno consapevolmente dalla vetrina?

Un’altra cosa.