Perché il vino novello (italiano) è ontologicamente scadente

I vini novelli portano in dote un'etichetta di vino semplice, di trascurabile interesse e di scarsa qualità. Una percezione giustificata da una legge italiana che potrebbe anche cambiare.

Perché il vino novello (italiano) è ontologicamente scadente

L’amatore del vino si è fatto un’idea del novello come di una doggy bag della cantina, altrimenti come potrebbe finire sullo scaffale spesso a meno di 3 euro a bottiglia. La conseguenza è il suo declassamento fra i paria del vino, fra le cose di cui un diplomato sommelier dovrebbe ridere per statuto. Il risvolto malinconico è che sono le stesse normative che ne regolano la produzione a permettere, diciamo così, una certa creatività rispetto al loro protocollo nativo. Per chi fosse all’oscuro di cosa distingua il vino novello dagli altri vini, masticate una Travelgum perché faremo un rapido giro su un rollercoaster storico-enologico (e non vi stupisca come, anche stavolta, c’entrino i francesi).

Beaujolais

Beaujolais

Beaujolais, Francia, anni ’30 del secolo scorso: degli scienziati stanno giocando con l’anidride carbonica allo scopo di prolungare la vita edibile dell’uva da tavola. L’esperimento, ahiloro, fallì e i gentiluomini si ritrovarono con dell’uva non più vendibile.

Qualcuno ebbe il guizzo. “Vinifichiamola”.

E il vino ottenuto mostrò caratteristiche differenti dai vini tradizionali. L’interesse crebbe, portando alla codifica ufficiale del Beaujolais Noveau negli anni ’50. Fu però negli anni ’80 che l’uscita sul mercato (déblocage) del Beaujolais Nouveau, fissata ancora oggi il terzo giovedì di novembre, divenne un evento internazionale, contagiando anche le nostre cantine che, a partire dall’annata 1987, poterono far uscire sul mercato vini categorizzati come “novelli”.

La macerazione carbonica in breve

Step fondamentale nella vinificazione dei vini novelli è la macerazione carbonica. Giusto qualche cenno sommario della pratica: l’uva vendemmiata viene posta così com’è in dei recipienti, che verranno poi chiusi ermeticamente e riempiti di CO2. La CO2 agisce sulla buccia dell’acino aumentandone la permeabilità, con cessione dei suoi pigmenti colorati alla polpa (si usano quasi esclusivamente varietà a bacca rossa). Intanto le uve sul fondo del recipiente, pressate come fossero sulla Metro A di Roma tra Barberini e Spagna il 23 dicembre, rilasciano del succo che fermenta grazie all’azione dei lieviti (indigeni o aggiunti), con produzione di ulteriore CO2.

Al contempo parte anche una seconda fermentazione intracellulare in assenza di ossigeno, con produzione di alcol e glicerina a spese sia di zuccheri che di acido malico. A coronamento del tutto vi è la sintesi di molecole aromatiche tipiche di questo processo. Dopo qualche giorno di questo inferno le uve vengono pigiate e il mosto risultante finirà di fermentare senza le bucce ‘alla vecchia maniera’.

Organoletticamente parlando, e facendo della sommaria generalizzazione, i vini da macerazione carbonica mostrano delle nuances che vanno dal rosso porpora al violaceo, posseggono aromi riccamente fruttati dove predominano la fragola, il lampone, la banana e sentori di kirsch, e al palato sono morbidi, scorrevoli e dallo scarso grip tannico. Non sono vini pensati per l’invecchiamento, arrivano a malapena alla primavera: sono vini dell’immediato, di “pronta beva”, gioiosi e spensierati. Quelli fatti bene, si capisce.

La legge sul vino novello in Italia

E perché mai un’intera categoria di vini dovrebbe essere vista così male? La questione fondamentale è una: mentre il Beaujolais Nouveau viene realizzato con il 100% delle uve sottoposte a macerazione carbonica, in Italia la percentuale minima scende a 40% (D.M. 13 agosto 2012, Etichettatura e presentazione vini DOP-IGP). Il che significa che fino al 60% di un vino novello può essere costituito da vino ottenuto con il metodo tradizionale. E questa è pure una miglioria rispetto al vecchio decreto, che consentiva di produrre novello con solo il 30% di uve sottoposte a macerazione carbonica e con la possibilità per i vini IGT di ricorrere per un 15% a vino di vecchie annate (leggi malignamente: vino invenduto).

Dal 2006 neanche i vini novelli IGT possono più ricorrere al taglio con vini di precedenti annate, una cosa buona ma non sufficiente ad accrescere il valore della categoria (e senza entrare nel merito delle uve dedicate alla loro produzione, certo non l’élite del vigneto). Avere una percentuale minima così bassa di uve sottoposte a carbonica fa svanire tutte le peculiarità di questo metodo produttivo, lasciando al consumatore solo un vino (troppo) giovane con qualche sbuffo di ciliegia e di banana. Va detto che qualche disciplinare tenta di stringere le maglie, come ad esempio quello del Bardolino DOC, che per i novelli prevede almeno l’85% delle uve sottoposte a macerazione carbonica.

Chiaramente, ritoccare la dannata percentuale sarebbe d’uopo, ché sono passati pure 10 anni e una spolverata al documento non fa male. Magari c’è la possibilità che chi voglia produrre vino novello possa farlo a mestiere, che possano uscire sul mercato molte meno bottiglie ma di qualità e che possiamo metterci a litigare con i francesi anche su quest’altro argomento.